PENSIONE DI REVERSIBILITÀ

La pensione di reversibilità è una prestazione pensionistica erogata ai familiari superstiti di un pensionato o di una pensionata deceduti titolari di pensione diretta. Viene pagata con i contributi del deceduto o della deceduta. Non si tratta dunque di una prestazione assistenziale.

La pensione di reversibilità è uno strumento di sostegno pensionistico dedicato ai familiari superstiti di un pensionato (o lavoratore) deceduto, o del soggetto deceduto che ancora non ha maturato il diritto alla pensione. In questo caso il trattamento previdenziale viene definito “pensione indiretta” e spetta solo qualora il soggetto abbia maturato 15 anni di anzianità contributiva e assicurativa o 5 anni di anzianità assicurativa e contributiva, di cui minimo 3 nei 5 anni precedenti la data del decesso.

Istituita nel 1939 a tutela delle mogli che, dopo la morte del marito, restavano senza sostentamento economico, la reversibilità è stata estesa negli anni anche a mariti e figli.

Chi ha diritto alla pensione di reversibilità

Per il diritto alla pensione di reversibilità è necessario risultare, al momento del decesso del pensionato, a suo carico. Ossia non avere quei requisiti reddituali che l’ordinamento stabilisce per ritenere un soggetto autonomo dal punto di vista economico e quindi in grado di mantenersi da solo. La pensione ai superstiti infatti viene riconosciuta solo ai parenti a carico del defunto e pertanto mantenuti abitualmente dallo stesso.

Come funziona la pensione di reversibilità

Il diritto alla pensione di reversibilità è un autonomo diritto di natura previdenziale, che sorge in capo ai beneficiari con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello in cui si è verificato il decesso del pensionato. Esso trova la sua giustificazione nella solidarietà familiare.

La pensione di reversibilità spetta al coniuge superstite anche separato o divorziato se titolare di assegno divorzile, ai figli (anche adottivi o affiliati) minorenni o inabili al lavoro, studenti entro il 21° anno di età o 26° se universitari e a carico. Spetta anche ai nipoti a carico del pensionato alla sua morte e ai genitori e fratelli e sorelle del pensionato defunto, sempre se a carico.

Chi percepisce la pensione di reversibilità ha diritto, al raggiungimento dei requisiti, anche alla pensione di vecchiaia. Percepirà, quindi, il trattamento diretto (pensione INPS) e il trattamento indiretto (pensione di reversibilità).

Pensione di reversibilità: come si calcola

La pensione di reversibilità non prevede l’erogazione dell’intero importo che spettava al defunto.

Viene invece calcolata una quota percentuale della pensione che varia a seconda del grado di parentela dell’avente diritto al trattamento. Elenchiamo qui di seguito le percentuali:

  • 60%, se a beneficiarne è solo il coniuge,
  • 70%, se è erogata in favore di un solo figlio,
  • 80%, se gli aventi diritto sono il coniuge e un figlio o due figli senza coniuge,

100%, se ad avere diritto alla reversibilità sono il coniuge e due figli o tre o più figli.

Quando il coniuge ha diritto alla pensione di reversibilità

Il coniuge matura il diritto alla pensione di reversibilità dopo un mese dal decesso, anche se separato legalmente o divorziato. Questo purché titolare di un assegno periodico divorzile. La legge richiede la sussistenza di ulteriori requisiti, anche al fine di non ledere la posizione dell’eventuale nuovo coniuge, con cui lo stesso ha contratto le nozze dopo il divorzio.

Questi includono, oltre alla titolarità dell’assegno divorziali, anche l’anteriorità del rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico alla sentenza di divorzio e il non non passaggio a nuove nozze.

L’ex coniuge titolare dell’assegno post-matrimoniale, oltre alla pensione di reversibilità, ha diritto anche a tutte le indennità previste per il coniuge deceduto. Tra queste citiamo la rendita INAIL per malattia professionale e l’accesso al Fondo Vittime Amianto, nel caso in cui il coniuge deceduto sia morto in seguito ad una malattia causata dall’amianto.

Come dividere la pensione di reversibilità tra prima e seconda moglie

La legge n. 898/1970 che disciplina i casi di scioglimento di matrimonio, conferisce un autonomo diritto alla pensione di reversibilità sia all’ex coniuge che al coniuge superstite, qualora entrambi posseggano i requisiti richiesti dalla legge per la sua attribuzione.

Il terzo comma dispone infatti che “qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art.5 …”.

Quindi il legislatore ha stabilito che la pensione di reversibilità, in caso di concorso tra ex coniuge e coniuge superstite venga attribuita tenendo conto della “durata del rapporto matrimoniale”.

La Giurisprudenza, in seguito a sentenze in merito della Corte Costituzionale, ha affermato con sempre più enfasi che il criterio della durata del rapporto non può essere considerata l’unico parametro. Altri criteri cui riferirsi sono quelli utilizzabili nella liquidazione dell’assegno divorzile, come l’ammontare dell’assegno e le condizioni economiche dei coniugi concorrenti, oltre che la durata dei rispettivi matrimoni.

Pensione di reversibilità ai figli

Oltre che al coniuge e all’ex coniuge, come già accennato, la reversibilità spetta anche ai figli. Spetta sempre a i figli minori di 18 anni.

Ne hanno anche diritto i figli studenti di scuola media secondaria di età compresa tra i 18 e i 21 anni, a carico del genitore che è deceduto, purché non svolgano attività lavorativa.

Per quanto riguarda i figli studenti universitari la pensione di reversibilità spetta per tutta la durata del corso di laurea ma non oltre i 26 anni,. Sempre se a carico del genitore deceduto e purché non svolgano attività lavorativa.

La pensione ai superstiti spetta ai figli inabili, a prescindere dall’età, purché a carico del pensionato.

Reversibilità ai genitori

In alcuni casi la pensione di reversibilità spetta anche ai genitori, ma in questo caso il pensionato non deve aver lasciato in vita né coniuge, né figli, né nipoti.

I genitori, poi, dovevano essere a suo carico al momento del decesso, avere almeno 65 anni di età e non devono essere titolari di pensione diretta o indiretta.

Reversibilità a fratelli e sorelle

La pensione di reversibilità, in mancanza di coniuge, figli, nipoti e genitori, può spettare anche ai fratelli celibi e alle sorelle nubili, purché a carico del defunto e inabili al lavoro.

Durata della pensione ai superstiti

Il diritto alla pensione di reversibilità non sempre è a tempo indeterminato.

Per il coniuge cessa nel caso in cui egli contragga un nuovo matrimonio, con diritto, tuttavia, a due annualità della quota di pensione nella misura spettante alla data delle nuove nozze, una tantum e compresa la tredicesima.

I figli minori, come già detto, cessano di avere diritto alla reversibilità al compimento dei 18 anni. A meno che non siano studenti o studenti universitari, nel qual caso la soglia si eleva, rispettivamente, a 21 anni e a 26 anni di età. I figli inabili perdono il diritto se viene meno il loro stato di inabilità.

Lo stesso discorso fatto per i figli vale per i nipoti.

I genitori, invece, non beneficiano più della reversibilità se conseguono un’altra pensione. Mentre i fratelli e le sorelle se conseguono un’altra pensione, contraggono matrimonio o cessano di essere inabili.

Indennità una tantum ai superstiti

L’indennità una tantum è un trattamento che viene erogato in favore dei superstiti di quei soggetti che non hanno ancora maturato il diritto alla pensione, ma che erano assicurati e la cui pensione sarebbe stata calcolata solo con il metodo contributivo.

L’indennità viene corrisposta una tantum e l’importo corrisponde alla pensione sociale in vigore al momento del decesso dell’assicurato, somma che viene moltiplicata per il numero delle annualità di contribuzione che è stata accreditata in favore del lavoratore.

Quali sono i redditi non cumulabili con la pensione di reversibilità

La quota di reversibilità può essere cumulata anche con redditi personali, purché entro i 20449,26 euro circa l’anno. Se i superstiti possiedono redditi superiori, la somma di denaro erogata subisce una decurtazione variabile a seconda dell’ammontare del reddito. La decurtazione è pari al 25% in caso di importo superiore a tre volte il trattamento minimo annuo del fondo pensioni lavoratori dipendenti; del 40% in caso di importo superiore a quattro volte il trattamento minimo annuo del fondo pensioni lavoratori dipendenti; del 50%, se l’importo è superiore a cinque volte il trattamento minimo annuo del fondo pensioni lavoratori dipendenti.

La pensione di reversibilità è compatibile con i redditi da lavoro: dunque i superstiti possono comunque lavorare senza dover rinunciare all’assegno erogato dall’INPS.

A differenza però di quanto accade per la pensione di vecchiaia e per quella anticipata, la pensione di reversibilità non è pienamente cumulabile con i redditi da lavoro: a seconda del reddito percepito dall’attività lavorativa, si applica una decurtazione dell’importo dell’assegno di pensione. In parole povere, maggiore è il reddito, più elevata sarà la riduzione dell’importo della prestazione pensionistica destinata al superstite.

Non sempre però la pensione di reversibilità si riduce. È prevista, infatti, una deroga al meccanismo che ne dispone il taglio in caso di presenza di redditi da lavoro. In particolare, la normativa stabilisce che quando oltre al coniuge superstite siano contitolari della prestazione coloro che appartengono al medesimo nucleo familiare (ad esempio i figli minori o inabili maggiorenni), non si applica alcuna decurtazione della pensione, che sarà erogata interamente, pur se in presenza di altri redditi.

Lo svolgimento di attività lavorativa o il possesso di altri redditi possono determinare riduzioni della pensione spettante al coniuge del pensionato o del lavoratore defunto. Sia la pensione di reversibilità che la pensione indiretta sono di regola pari al 60% della pensione percepita dal defunto, ma in presenza di redditi personali superiori a tre volte il trattamento minimo INPS, la quota erogata nei confronti del coniuge si riduce di una percentuale tanto più elevata quanto maggiore è il reddito.  

NOVITA’ PENSIONE DI REVERSIBILITA’ 2023:

Le novità relative alle pensioni introdotte dal governo a partire dal primo gennaio 2023 riguardano anche le pensioni di reversibilità. A seguito delle misure introdotte dall’esecutivo, infatti, dall’inizio di quest’anno andrà applicato un aumento complessivo dell’8,8%, composto da una rivalutazione piena del 7,3%, cui si aggiunge un ulteriore 1,5% come misura straordinaria una tantum per il 2023, che passerà al 2,7% nel 2024.

Con il termine rivalutazione si intende l’aggiornamento annuale degli importi pensionistici calcolato in base all’inflazione registrata l’anno precedente, pari, a fine 2022, al 7,3%. Si andrà dunque, con percentuali variabili, dal 100% previsto per gli importi fino a 2.100 euro lordi al mese, al 32% previsto per gli importi superiori ai 5.251 euro lordi mensili. Per fare un esempio concreto, una pensione di 1.000 euro al mese, aumenterà di 73 euro.

Con la rivalutazione, il trattamento minimo dell’assegno pensionistico ai superstiti, fissato per quest’anno a 524,34 euro mensili, dovrebbe raggiungere i 570 euro.

I NUOVI LEA A PARTIRE DAL 2024

Il tariffario sui nuovi Livelli essenziali di assistenza , ossia i livelli minimi di assistenza che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire ai cittadini. 

livelli essenziali di assistenza (LEA) rappresentano le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, attraverso la gratuità o dietro il pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte con la fiscalità generale (tasse) .

Cenni storici e giuridici dei LEA

LEA furono proposti per la prima volta, almeno teoricamente, in occasione della promulgazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, documento all’interno del quale, tra le altre innovazioni, videro la nascita le aziende sanitarie, i DRG e, non da meno, un federalismo fiscale a carico delle Regioni, anche e soprattutto sotto il punto di vista della programmazione e pianificazione economico-sanitaria dando anche alle stesse Regioni la possibilità di garantire ulteriori prestazioni rispetto a quelle incluse nell’elenco nazionale utilizzando risorse proprie.

In particolar modo l’articolo 1 del sopra indicato decreto assicura i LEA (definiti all’interno del Piano Sanitario Nazionale), nel rispetto dei principi di dignità della persona umana, delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze nonché dell’economia nell’impiego delle risorse.

Dopo anni è stato approvato il Decreto Tariffe LEA, con il nuovo elenco delle prestazioni sanitarie passate dal Sistema sanitario nazionale (SSN). Nuovi servizi sanitari entrano nel tariffario e vengono quindi considerati LEA: livelli essenziali di assistenza.

L’intesa, e quindi l’ok, è arrivata in Conferenza Stato-Regioni il 19 aprile scorso, dopo 6 anni dall’ultimo tariffario del 2017. Il decreto permetterà di aggiornare i vecchi tariffari, colmando anche le differenze tra regioni. Dai tumori alla procreazione assistita, fino alla consulenza genica e screening estesi prenatali.

L’impatto economico, come si legge nella bozza del decreto, è pari a 425 milioni di euro, cui “sono stati aggiunti anche circa 20 milioni di euro per l’adroterapia, per un totale di 445 milioni di euro”.

Il nuovo decreto, fissa le tariffe di riferimento e aggiorna le prestazioni garantite, introducendo nuovi servizi sanitari considerati LEA ( e quindi garantiti dal SSN) e cancellando prestazioni considerate ormai non più attuali.

Il merito dell’operazione va anzitutto al Ministro della Salute Orazio Schillaci:

 «In sei mesi siamo riusciti a sbloccare una situazione ferma da sei anni, che ci consegnava in molte regioni, prestazioni ambulatoriali obsolete. Sei anni è un lasso di tempo inaccettabile per un paese moderno quale è l’Italia» ha spiegato ai giornalisti. Ma, rivendicazioni politiche a parte, il decreto tariffe che ha incassato il via libera della Conferenza Stato-Regioni ha i numeri per incidere concretamente sulla vita quotidiana di milioni di cittadini: dagli esami genetici alle terapie oncologiche all’avanguardia fino alle protesi altamente tecnologiche, le nuove prestazioni (che prima avevano carattere quasi “sperimentale”, oppure erano eseguibili in sicurezza solo in regime di ricovero) sono oltre 400 – si passa da 1.702 a 2.108 – e da oggi possono essere erogate in ambito ambulatoriale.

L’applicazione dei nuovi Lea avrà una tempistica distinta: dall’1 gennaio 2024 saranno applicate le tariffe della nuova assistenza specialistica ambulatoriale e dall’1 aprile 2024 quelle dell’assistenza protesica. Ci saranno, ha detto Schillaci, «tante opportunità nuove che prima non c’erano» e, soprattutto, saranno «opportunità per tutti», sull’intero territorio nazionale, perché l’obiettivo è «garantire a tutti i cittadini le stesse nuove prestazioni, superando dunque le diseguaglianze tra le Regioni».  La prospettiva è inoltre quella di arricchire ancora i nuovi Lea con ulteriori voci. Di sicuro, secondo le intenzioni di Schillaci, le prestazioni sanitarie garantite dal Ssn dovranno essere aggiornate al passo con gli avanzamenti scientifici.

L’approvazione del decreto tariffe è stata anche l’occasione per fare il punto sul finanziamento complessivo della sanità. Nessun taglio, ha ribadito il ministro. «Qualcuno scrive che questo governo ha tagliato le spese per il 2024, 25 e 26. Ma il Def pubblicato e che si riferisce tra l’altro alla spesa e non al Fondo sanitario – ha spiegato ancora Schillaci – è uguale a quello dell’aprile 2022 che assegnava il 6,3% e il 6 ,22% sul Pil. Esattamente come quest’anno”. Ed ancora: «Non è nel mio costume fare polemiche inutili, ma andando a usare il parametro della spesa pubblica sul Pil, quest’anno siamo al 6,8% ed è il valore più alto dal 2011, tolto ovviamente l’anno del Covid. In assoluto, abbiamo distribuito 136 miliardi. Anche io vorrei avere 50 miliardi da mettere sulla sanità ma è impensabile in un anno avere 50 miliardi. E chi poteva in passato – ha concluso il ministro – non lo ha fatto».

Le nuove prestazioni

Ecco, nello specifico, una prima mappa delle prestazioni che saranno erogate d’ora in poi in ambito ambulatoriale.

ATTIVITÀ DIAGNOSTICA: si introducono prestazioni per la diagnosi o il monitoraggio della celiachia e malattie rare (ad esempio per le malattie metaboliche) a beneficio di persone fragili. Via libera anche a nuova diagnostica per immagini in grado di consentire diagnosi più rapide ed affidabili, come l’Angio RM per vari distretti. Inoltre si introduce la enteroscopia con microcamera ingeribile per i casi di sanguinamento: si tratta di una metodologia che fa uso di videocapsule monouso che è indicata in quei casi di difficile esplorazione dell’intestino. Arriva anche la ‘sedazione cosciente’ per i pazienti sottoposti a endoscopie e biopsie per garantire esami indolori e confortevoli. Nuovi test per la tutela della gravidanza e del nascituro.

GENETICA: è definito un elenco di patologie per le quali è necessaria l’indagine genetica. Inoltre, viene introdotta la consulenza genetica per coloro che si sottopongono ad una indagine. Per i tumori, sono introdotte tecniche molecolari per evidenziare, in corso di biopsia o di intervento chirurgico, stati mutazionali per una migliore caratterizzazione.

ADROTERAPIA: introdotto un nuovo tipo di radioterapia assolutamente innovativa che si avvale degli ioni carbonio o dei protoni per il trattamento di alcuni tumori.

RIABILITAZIONE: nuova rieducazione individuale del linguaggio; rieducazione motoria mediante apparecchi di assistenza robotizzati ad alta tecnologia.

ASSISTENZA PROTESICA: tra le prestazioni previste rientrano gli ausili informatici e di comunicazione (inclusi i comunicatori oculari e le tastiere adattate per persone con gravissime disabilità); apparecchi acustici a tecnologia digitale; attrezzature domotiche e sensori di comando e controllo per ambienti (allarme e telesoccorso); posaterie e suppellettili adattati per le disabilità motorie, barella adattata per la doccia, scooter a quattro ruote, carrozzine con sistema di verticalizzazione, sollevatori, carrelli servoscala per interni, arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo.

PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA: erogazione omogenea su tutto il territorio delle prestazioni incluse nei Lea.

Cosa sono i servizi sanitari LEA

I Livelli essenziali di assistenza (LEA) sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse).

Sono in pratica tutte le prestazioni sanitarie accessibili con il pagamento del ticket sanitario.

Decreto Tariffe LEA 2023: le novità

I tempi di entrata in vigore dei nuovi tariffari sono una novità in questo provvedimento. Le disposizioni contenute entrano in vigore:

  • dal 1° gennaio 2024 per quanto riguarda le tariffe dell’assistenza specialistica ambulatoriale
  • dal 1° aprile 2024 per quanto concerne le tariffe dell’assistenza protesica

Il nuovo nomenclatore aggiorna e migliora il nomenclatore disciplinato dal decreto ministeriale 22 luglio 1996, include prestazioni tecnologicamente avanzate ed elimina quelle considerate vecchie e obsolete.

Decreto Tariffe LEA 2023: le nuove prestazioni garantite dal SSN

Sono oltre 3 mila le prestazioni di specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica previste (le prime in vigore dal 1° gennaio 2024, le seconde dal 1° aprile 2024).

Il nuovo tariffario e nomenclatore della specialistica ambulatoriale, come si legge nella Relazione tecnica del decreto – “contiene elementi di forte innovazione, includendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed escludendo prestazioni ormai obsolete. Si è tenuto conto che numerose procedure diagnostiche e terapeutiche, considerate nel 1996 quasi “sperimentali” o eseguibili in sicurezza solo in regime di ricovero, oggi sono entrate nella pratica clinica corrente e possono essere erogate in ambito ambulatoriale”.

Per quanto riguarda le prestazioni ambulatoriali si passa dalle 1.702 prestazioni garantite della versione del 1996 alle 2.108 prestazioni.

Tra le nuove prestazioni garantite dal SSN: dalla consulenza genica a prestazioni antitumorali all’avanguardia come l’adroterapia, oltre a screening estesi prenatali. Sul fronte degli ausilii e protesi, sono previsti ausilii informatici come i comunicatori oculari, tastiere di ultima formulazione e sistemi di puntamento dello sguardo, ma anche protesi ed arti artificiali innovativi.

Sono però esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio Sanitario Nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che:

  • Non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio Sanitario Nazionale
  • Non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate
  • In presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza.

LEA: ASSISTENZA SOCIO-SANITARIA

L’assistenza sociosanitaria comprende le prestazioni necessarie a soddisfare il bisogno di salute del cittadino, anche nel lungo periodo, a stabilizzare il quadro clinico, a garantire la continuità tra attività di cura e di riabilitazione, a limitare il declino funzionale e migliorare la qualità della vita della persona, associando alle prestazioni sanitarie anche azioni di supporto e di protezione sociale.

Per il raggiungimento di questi obiettivi, sono definiti specifici percorsi assistenziali che prevedono prestazioni di natura sanitaria, erogate da operatori sanitari e sociosanitari per la cura e la riabilitazione di condizioni patologiche, e prestazioni di natura socio assistenziale per aiutare nella vita quotidiana la persona con problemi di disabilità, di disagio economico o di emarginazione che condizionano lo stato di salute. Tra queste ultime, l’aiuto nella igiene personale e dell’ambiente, nella gestione della casa, nella preparazione dei pasti, ecc.

Nel nuovo DPCM LEA (dPCM 12 gennaio 2017) vengono indicate non solo le categorie di cittadini a cui è garantita l’assistenza sociosanitaria ma vengono descritti anche gli ambiti di attività e i regimi assistenziali (domicilio, residenza, centro diurno) nei quali sono erogate le prestazioni sanitarie (mediche, infermieristiche, psicologiche, riabilitative, etc.), integrate con le prestazioni sociali.

Le categorie di cittadini sono:

  • malati cronici non autosufficienti (incluse le demenze)
  • malati in fine vita
  • persone con disturbi mentali
  • minori con disturbi in ambito psichiatrico e del neurosviluppo
  • persone con dipendenze patologiche
  • persone con disabilità.

A seconda delle specifiche condizioni della persona, della gravità e della modificabilità delle sue condizioni, della severità dei sintomi, ecc. le prestazioni potranno essere erogate in forma intensiva o estensiva, oppure mirare al semplice mantenimento dello stato di salute della persona e delle sue capacità funzionali.

E’ importante sottolineare che a tutti i cittadini viene garantito un percorso assistenziale integrato che include, se necessario, sia le prestazioni sanitarie sia le prestazioni sociali. Per offrire maggiore qualità ed efficienza al servizio, sono attivi presso quasi tutte le Asl o i Comuni sportelli unitari cui i cittadini possono rivolgersi per la valutazione multidimensionale dei bisogni clinici funzionali e sociali, la presa in carico della persona e la definizione del progetto di assistenza individuale (PAI);

I bisogni sanitari e di protezione sociale del paziente sono rilevati con strumenti di valutazione multidimensionale standardizzati e uniformi sul territorio regionale. La valutazione multidimensionale individua le necessità sanitarie e assistenziali del paziente, a prescindere dalla patologia da cui è affetto, e indirizza gli operatori a organizzare l’intervento socio-sanitario in uno specifico regime assistenziale di cura (a domicilio, in residenza o in centro diurno).

Il Servizio sanitario nazionale (SSN) deve garantire la continuità della presa in carico del paziente tra le fasi dell’assistenza ospedaliera e dell’assistenza territoriale.

PENSIONI E PEREQUAZIONE AUTOMATICA

La Perequazione è l’aumento collegato all’inflazione che viene riconosciuto ai trattamenti pensionistici secondo determinate condizioni.

Con il termine perequazione automatica si indica la rivalutazione dell’importo pensionistico, legata all’inflazione, finalizzata alla protezione del potere d’acquisto e riguarda sia le pensioni dirette (come la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata) sia le pensioni indirette (pensione ai superstiti).

La perequazione è il termine che identifica la rivalutazione dell’importo pensionistico legato all’inflazione. In pratica si tratta di un meccanismo attraverso il quale l’importo delle prestazioni medesime viene adeguato all’aumento del costo della vita come indicati dall’Istat.

Il fine che la legge intende perseguire è quello di proteggere il potere d’acquisto del trattamento previdenziale pensionistico qualsiasi esso sia.

Allo scopo di proteggere il potere d’acquisto dei pensionati e garantire loro un tenore di vita adeguato e costante nel tempo, il nostro sistema pensionistico prevede il meccanismo della cosiddetta “perequazione automatica”, un aumento periodico dell’assegno collegato all’inflazione. 

Le pensioni vengono così adeguate all’aumento del costo della vita al fine di salvaguardare, in qualche misura, il loro reale potere d’acquisto. 

Tuttavia, l’ indicizzazione non si applica allo stesso modo a tutti i trattamenti pensionistici.

La novità prevista dalla legge di bilancio per il 2022 era che, a partire dal 2023, sarebbero tornate in vigore le regole ordinarie con cui calcolare la perequazione, quelle fissate dalla legge 388/2000. Secondo tale norma, scattano aumenti diversi per tre scaglioni d’importo: 100% sino a 4 volte il minimo, 90% tra 4 e 5 volte e 75% se superiore a 5 volte. 

Novità sulle pensioni con la legge di bilancio 2023

Con la manovra del 2023 è stata prevista l’ introduzione, per il biennio 2023 – 2024 di sei fasce di rivalutazione a seconda dell’importo del trattamento pensionistico. Inoltre, viene ripristinato il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento e non più a scaglioni, un sistema più penalizzante per le pensioni più elevate ( in questo sistema di calcolo il reddito viene suddiviso in più scaglioni, ad ognuno dei quali si applica un’aliquota via via crescente ). 

Con la perequazione automatica le pensioni aumentano con incrementi differenziati a secondo dell’ entità della pensione. Il Governo Draghi aveva deciso per il 2023 il ritorno ad uno schema con una rivalutazione suddivisa in tre fasce : 

  • al 100% dell’inflazione per le pensioni di importo fino a 4 volte il trattamento minimo INPS;
  • al 90% dell’inflazione per le pensioni di importo compreso tra 4 e 5 volte il minimo;
  • al 75% dell’inflazione per i trattamenti pensionistici oltre 5 volte il minimo.

Con la Legge di bilancio 2023 è stato stabilito un nuovo meccanismo per il biennio 2023 – 2024 che premia le pensioni al minimo, preserva la rivalutazione piena per gli assegni di importo fino a 4 volte il minimo e riduce progressivamente l’indicizzazione di tutti i trattamenti oltre 4 volte il minimo con uno schema che prevede un’articolazione in sei fasce per il biennio 2023 – 2024:

  • Per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (2.101,52 euro), le pensioni saranno rivalutate nella misura del 100 per cento (pieno 7,3%);

Per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (2.101,52 euro): 

  • le pensioni saranno adeguate nella misura dell’85 per cento (6,21%) per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS (2.626,90 euro).
  • per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo la rivalutazione sarà del 53 per cento (3,87%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS (2.626,90 euro) e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS (3.152,28 euro) ;
  • Per le pensioni di importo superiore a sei volte il trattamento minimo (3.152,28 euro) la rivalutazione sarà nella misura del 47 per cento (3,43%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS (4.203,04 euro circa);
  • Per i trattamenti pensionistici di importo superiore a otto volte il trattamento minimo (4.203,04 euro) la rivalutazione sarà pari al 37 per cento (2,70%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a dieci volte il trattamento minimo INPS (5.253,80 euro);
  • Per le pensioni di importo superiore a dieci volte il predetto trattamento minimo, l’incremento avverrà nella misura del 32 per cento (2,34%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a dieci volte il trattamento minimo INPS (superiore a 5.253,80 euro). 

Complessivamente le fasce risultano più restrittive a partire dai redditi medio alti . Le nuove fasce sono più restrittive con chi riceve assegni superiori a quattro volte il minimo: una pensione di 3mila euro lordi al mese al 31 dicembre 2022 sarà rivalutata in modo secco del 3,869%, cioè 116 euro al mese. Con le vecchie regole, invece, l’aumento sarebbe stato di 208 euro al mese. Allo stesso modo, una pensione di 6mila euro lordi, riceverà 140 euro di aumento contro i 373euro che avrebbe ottenuto in precedenza. 

Al contrario, chi riceve una pensione non superiore al trattamento minimo (cioè 525,38 euro) riceve una rivalutazione straordinaria dell’1,5% che porterà l’assegno minimo a circa 572 euro al mese (in totale recupererà un’inflazione dell’8,8%). 

Adeguamento pensionistico e la sua evoluzione negli anni

L’adeguamento pensionistico deve essere effettuato su tutti i trattamenti pensionistici erogati dalla previdenza pubblica (cioè dall’assicurazione generale obbligatoria e dalle relative gestioni dei lavoratori autonomi nonchè dai fondi ad essa sostitutivi, esonerativi, esclusivi, integrativi ed aggiuntivi): quindi rientrano sia le pensioni dirette (es. pensione di vecchiaia, pensione anticipata) sia quelle indirette (pensione ai superstiti) a prescindere dalla circostanza che tali prestazioni siano o meno integrate al trattamento minimo. 

circa le modalità con le quali si effettua l’adeguamento dal 1° gennaio 1999 l’articolo 34, comma 1 della legge 448/1998 ha previsto che la perequazione si effettua in via cumulata. Cioè ai fini dell’individuazione dell’indice di perequazione da attribuire si prende a riferimento il reddito complessivo derivante dal cumulo dei trattamenti erogati dall’Inps nel Casellario Centrale dei Pensionati, per ciascun pensionato. 

Sino al 31 Dicembre 2011. Prima della Riforma Fornero la legge n. 388/2000 aveva suddiviso – a partire dal 1° gennaio 2001 – la perequazione in tre fasce all’interno del trattamento pensionistico complessivo e l’adeguamento veniva concesso in misura piena, cioè al 100% per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90% per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo. Prima del 2001 la materia era regolata dall’articolo 24, della legge 41/1986 che garantiva un adeguamento pieno sino a 2 volte il minimo, al 90% tra le 2 e le 3 volte il minimo e del 75% per le fasce eccedenti il triplo del minimo. La rivalutazione avveniva per scaglioni di importo, cioè seguendo criteri progressivi.  

Dal 1° gennaio 2012.  Il dl n. 201/2011, come noto, ha introdotto un blocco temporaneo nel biennio 2012-2013 dell’indicizzazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il Tm (cioè 1.405,11€ nel 2011), rivisto poi parzialmente dal dl n. 65/2015 per rispondere ai rilievi della sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale. In tal sede è stata prevista una rivalutazione parziale anche degli assegni inferiori a sei volte il Tm confermando il blocco totale di quelli superiori a tale soglia. La stessa Corte (sentenza n. 250/2017) ha riconosciuto legittimo il Dl n. 65/2015 poiché «ha introdotto una nuova non irragionevole modulazione del meccanismo che sorregge la perequazione, la cui portata è stata ridefinita compatibilmente con le risorse disponibili».

Dal 1° gennaio 2014 la legge n. 147/2013 ha introdotto un nuovo strumento perequativo che, abbandonando i criteri di progressività, ha optato per una rivalutazione unica applicata direttamente sull’importo complessivo del trattamento pensionistico. Il meccanismo, inoltre, ha previsto indici di perequazione meno favorevoli per i trattamenti superiori a tre volte il Tm. Tali regole sono rimaste in vigore con limitate modifiche sino al 31 dicembre 2021. Il basso tasso di inflazione registrato in quegli anni ha comunque contenuto gli effetti per i pensionati con assegni superiori a tre volte il TM.

Nel 2022 è tornata la rivalutazione per scaglioni d’importo (cioè progressiva) ma il nuovo corso ha avuto vita breve. La legge n. 197/2022 ha, infatti, ripristinato per il biennio 2023-2024 la rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento.  Attualmente il modulo di perequazione (art. 1, co. 235 della legge n. 197/2022) è il seguente:

  • 100% per i trattamenti pensionistici sino a quattro volteil Tm;
  • 85% per i trattamenti pensionistici compresi tra quattro e cinque volteil Tm;
  • 53% per i trattamenti pensionistici compresi tra cinque e sei volteil Tm;
  • 47% per i trattamenti compresi tra sei e otto volteil Tm;
  • 37% per i trattatamenti compresi tra otto e dieci volteil Tm;
  • 32% per i trattamenti superiori a dieci volteil Tm

Da notare che per gli assegni non superiori al trattamento minimo la legge n. 197/2022 ha previsto una rivalutazione straordinaria dell’1,5% (6,4% per i pensionati con età pari o superiore a 75 anni) nell’anno 2023 e del 2,7% nell’anno 2024. Gli effetti però sono transitori, cesseranno di trovare efficacia rispettivamente il 31 dicembre 2023 ed il 31 dicembre 2024.

Come si nota in passato più volte i trattamenti pensionistici elevati sono stati oggetto di una riduzione delle aliquote di indicizzazione. Basti pensare che già nel 1998 l’articolo 11, comma 13 dell’articolo 59 della legge n. 449/1997 aveva disposto il congelamento della perequazione sui trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo inps e che, per il biennio successivo, l’indice di perequazione doveva essere applicato nella misura del 30% per le fasce di importo tra le cinque e le otto volte; superato tale limite la perequazione non doveva trovare più applicazione. Analogo blocco fu introdotto per l’anno 2008 della legge n. 247/07 sulle pensioni superiori a 8 volte il minimo inps. Per il triennio 2008-2010 l’aumento perequativo è stato però garantito in misura piena per le pensioni non superiori a 5 volte il minimo (articolo 5, comma 6 del decreto legge n. 81/2007).

Per la rivalutazione del 2023, il decreto ha fissato l’aumento al tasso del 7,3% che porta il minimo Inps, ad esempio, da 525,38 euro a 563,73 euro con un aumento di 38,35 euro mensili ovvero di 498 euro in un anno (tredici mensilità). La perequazione interessa tutte le pensioni, di qualunque importo. L’aumento è fisso per le pensioni d’importo fino al «minimo Inps» (cioè in misura del 100% del tasso Istat); quelle d’importo superiore, invece, aumentano con incrementi differenziati a seconda dell’entità della pensione soggetta alla rivalutazione o di tutte le pensioni soggette a rivalutazione, se il pensionato ne possiede più di una.

Nel 2023 si doveva continuare con le regole originarie di calcolo della perequazione fissate dalla legge n. 388/2000: cioè aumenti su tre fasce di importo (100% sino a 4 volte il minimo, 90% tra 4 e 5 volte e 75% se superiore a 5 volte) con criteri progressivi.

La rivalutazione effettiva

Sulle fasce di rivalutazione esposte in tabella bisogna applicare il tasso di inflazione annua. Dalla moltiplicazione del tasso di inflazione per le fasce di rivalutazione si ottiene, pertanto, il tasso effettivo di rivalutazione che ogni anno viene corrisposto negli assegni. L’applicazione della rivalutazione, come noto, avviene ad inizio di ogni anno in via provvisoria rispetto all’inflazione dell’anno uscente ed in via definitiva rispetto a quella dell’anno precedente sulla base dei valori indicati in un decreto del ministero dell’economia adottato a metà novembre.

Il decreto ministeriale 10 novembre 2022 ha fissato il tasso di inflazione definitivo per il 2022 in misura pari allo 1,9% (rispetto all’1,7% comunicato in via previsionale l’anno precedente) ed ha fissato quello provvisorio 2023, relativo ai primi 9 mesi del 2022, in misura pari al 7,3%. A regime, pertanto, gli aumenti nel 2023 sono dettagliati di seguito:

La legge di bilancio rivede il meccanismo di indicizzazione delle pensioni superiori a 4 volte il trattamento minimo. Rivalutazione straordinaria del 6,4% per i pensionati al minimo di età pari o superiore a 75 anni.

Per i prossimi due anni (2023 e 2024) gli assegni torneranno ad essere rivalutati con criteri meno generosi. In particolare la rivalutazione non si applicherà in modo progressivo (come visto nel 2022) ma sull’intero trattamento pensionistico lordo e con fasce di perequazione diverse. Lo prevede il testo della legge di bilancio 2023 che si accinge ad essere approvata in via definitiva dal Parlamento nei prossimi giorni. All’interno c’è anche un irrobustimento delle pensioni minime per i pensionanti di età pari o superiore a 75 anni: nel 2023 godranno di rivalutazione straordinaria (ma temporanea) del 6,4% che porterà il minimo a 600€ al mese.

La «perequazione automatica»

Si chiama così il vecchio automatismo della scala mobile, in virtù del quale le pensioni sono adeguate all’aumento del costo della vita al fine di salvaguardare, in qualche misura, il loro reale potere d’acquisto. L’automatismo (la perequazione) è applicato una volta sola nell’anno e prevede, prima di tutto, la fissazione del “tasso” sulla base del quale rivalutare le pensioni. Il tasso viene ufficializzato mediante uno specifico decreto ministeriale che lo determina quale valore medio dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (tassi inflazione) calcolato sull’anno precedente quello della rivalutazione.

Le nuove regole

La Finanziaria 2023 modifica i suddetti criteri prevedendo per il biennio 2023-2024 sette fasce di rivalutazione a seconda dell’importo del trattamento pensionistico (in tabella gli aumenti) e, soprattutto, ripristinando il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento. Resta fermo il meccanismo di garanzia in base al quale la rivalutazione non può essere inferiore all’aumento massimo attriuibile della fascia inferiore.

Le nuove fasce, in definitiva, sono complessivamente meno generose per chi percepisce assegni superiori a quattro volte il minimo. Ad esempio una pensione di 3.000€ lordi al mese al 31 dicembre 2022 sarà rivalutata in modo secco del 3,869%, cioè 116€ al mese. Con le vecchie regole l’aumento sarebbe stato di ben 208€ al mese. Una pensione di 6.000€ lordi al mese dal 31 dicembre 2022 prenderà 140€ di aumento contro i 373€ che avrebbe ottenuto con la disciplina precedente. 

Pensionati al minimo

Chi percepisce una pensione non superiore al trattamento minimo (cioè 525,38€) godrà di una rivalutazione straordinaria dell’1,5% che porterà l’assegno minimo a circa 572€ al mese (per tutto il 2023, compresa la tredicesima). Per i pensionati di età non inferiore a 75 anni l’aumento sarà del 6,4% grazie al quale, come annunciato dal Governo, si può raggiungere la teorica cifra di 600€ al mese. Si ricorda che si tratta di aumenti transitori, destinati cioè a trovare applicazione per il solo 2023, senza incidere sulle prestazioni collegate al reddito.

Contrasto all’inflazione

Come noto nel tentativo di attenuare gli effetti dell’inflazione il dl n. 115/2022 reca due misure a favore dei pensionati:

  • Un anticipo della rivalutazione delle pensioni in misura pari al 2% a partire dal 1° ottobre 2022 se il trattamento complessivo non supera i 692€ lordi al mese(ai valori di settembre 2022);
  • L’anticipo del conguaglio dello 0,2% al 1° novembre 2022(anziché dal 1° gennaio 2023) perché l’inflazione definitiva nel 2021 è risultata pari a + 1,9% anziché dello 1,7% provvisoriamente applicato dall’Inps per il 2022.

INCREMENTO PENSIONI PARI O INFERIORI AL TRATTAMENTO MINIMO

Lo scorso 3 aprile l’INPS ha diramato la circolare n. 35/2023 con cui fornisce le prime indicazioni per il calcolo dell’incremento straordinario, previsto per gli anni 2023 e 2024, sul trattamento pensionistico lordo complessivo pari o inferiore al trattamento minimo previsto dall’articolo 1 comma 310 della legge n. 197/2022 -legge di Bilancio per l’anno 2023.

PREMESSA

La legge di Bilancio per l’anno 2023 stabilisce, all’art. 1 co. 310, un incremento maggiore rispetto alla perequazione automatica per le pensioni integrate al trattamento minimo(563,74 euro mensili per l’anno 2023) o inferiori a tale trattamento.

L’ incremento delle pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS è dunque riconosciuto, in via eccezionale, con decorrenza 1 gennaio 2023 fino a dicembre 2024, con riferimento al trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento per ciascuna delle mensilità spettanti, ivi compresa la tredicesima mensilità.

DI COSA SI TRATTA

Con la presente circolare si forniscono le istruzioni applicative relativamente all’incremento delle pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS, riconosciuto per ciascuna delle mensilità da gennaio 2023 a dicembre 2024, ivi compresa la tredicesima mensilità spettante.

 L’Inps nella circolare 35/2023 comunica Pensioni minime più alte del 6,4% nel 2023 per gli ultra75enni e dell’1,5% per gli altri pensionati, illustrando la misura della «rivalutazione eccezionale» delle pensioni inferiori al minimo per gli anni 2023 e 2024, introdotta dalla legge 197/2022 (legge Bilancio 2023).

La disposizione da ultimo richiamata, come noto, ha previsto, per ciascuno degli anni 2023 e 2024, una rivalutazione eccezionale a favore delle sole pensioni inferiori al minimo. La rivalutazione ordinaria c’è stata al tasso del 7,3%, così portando il minimo da 525,38 euro (31 dicembre 2022) a 563,74 euro (1° gennaio 2023). La rivalutazione eccezionale è prevista, nel 2023, al tasso dell’1,5% per i pensionati d’età inferiore a 75 anni e del 6,4% per quelli con almeno 75 anni d’età (nel 2024 è prevista al 2,7% per tutti i pensionati). Di conseguenza nel 2023 gli assegni minimi per gli ultra 75enni salgono a 599,82€  e per gli altri a 572,20€.

L’Inps dà il via agli aumenti straordinari delle pensioni di importo inferiore al trattamento minimo, cioè 563,74€ al mese. Complessivamente nel 2023 la pensione minima sale a 600 euro agli ultra75enni e a 572 euro ai pensionati più giovani.

L’incremento delle pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS è dunque riconosciuto, in via eccezionale, con decorrenza 1° gennaio 2023 fino a dicembre 2024, con riferimento al trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento per ciascuna delle mensilità spettanti, ivi compresa la tredicesima mensilità.

Si tratta, tuttavia, ancora di valori provvisori perché il tasso di inflazione definitivo per il 2022 è risultato pari all’8,1% e non dell’7,3%. Il minimo 2023 definitivo è di 567,94€ e, pertanto, con la rivalutazione straordinaria si raggiungono i 576,45€ (604,28€ per gli ultra75enni). L’Inps, spiega, che questi arretrati saranno riconosciuti nel gennaio 2024 in occasione degli ordinari conguagli delle pensioni.    

A CHI SPETTA

La rivalutazione eccezionale, è riconosciuta sulla pensione lorda complessiva in pagamento già rivalutato ordinariamente, che deve essere pari o inferiore al minimo. Sono escluse dalla base di calcolo le prestazioni fiscalmente non imponibili (per esempio, somme corrisposte a titolo di maggiorazione sociale; la c.d. quattordicesima; importo aggiuntivo), le prestazioni assistenziali, le prestazioni a carattere facoltativo e quelle di accompagnamento a pensione. L’incremento spetta per ciascuna delle mensilità, da gennaio 2023 a dicembre 2024, compresa la tredicesima mensilità. Per le pensioni liquidate nel corso degli anni 2023 e 2024, la rivalutazione eccezionale è riconosciuta dalla data di decorrenza della pensione. 

APPLICAZIONE DELLA RIVALUTAZIONE

La rivalutazione, spiega l’Inps, si applica sulla pensione lorda complessiva purché inferiore a 563,74€. Ad esempio una pensione di 300€ al mese sale a 304,5€ (319,20€ se il pensionato è ultra75enne). Se durante il 2023 il pensionato compie 75 anni l’importo verrà adeguato dal mese successivo al compimento dell’età. C’è la clausola di salvaguardia: nel caso in cui la pensione complessiva risulti superiore al minimo Inps ma inferiore ai limiti (pari al minimo più rivalutazione eccezionale), l’incremento è comunque attribuito, ma fino a concorrenza del predetto limite. Così una pensione lorda di 568€, pur essendo superiore al minimo di 563,74€, riceverà comunque l’incremento sino a 572,20€ o a 599,82€.

Si rammenta che la rivalutazione straordinaria è transitoria e, pertanto, è destinata a cessare i propri effetti il 31 dicembre 2024. In tabella gli effetti dell’adeguamento delle prestazioni minime nel biennio 2022-2023 tenendo conto delle misure straordinarie succedutesi negli ultimi mesi.

PAGAMENTI

L’Inps precisa, infine, che l’importo relativo alla rivalutazione eccezionale è erogato con stessa cadenza della pensione (mensile, semestrale o annuale). Con il primo pagamento, annunciato da apposito messaggio, saranno liquidati anche gli arretrati. Sulle pensioni in convenzione internazionale, la rivalutazione eccezionale è riconosciuta sull’importo lordo in pagamento. Alle pensioni ai superstiti cointestate, anche con pagamento disgiunto, la rivalutazione è valutato sulla pensione complessivamente spettante a tutti i contitolari, e il beneficio ripartito in proporzione alla percentuale di pensione spettante.

CONSEGUENZE DELLA CIRCOLARE 35/2023

Con la circolare 35/2023 Inps ha ufficializzato la maggiorazione degli importi delle pensioni minime, conseguenti alle disposizioni contenute nella legge di Bilancio 2023 che hanno introdotto un incremento extra per l’anno in corso (rispettivamente di 1,5 punti percentuali per chi ha meno di 75 anni e di 6,4 per beneficiari di età pari o superiore a 75 anni).
Questi importi, al pari di quelli di tutte le pensioni, saranno poi oggetto di adeguamento definitivo all’inflazione a inizio 2024. Infatti ora le maggiorazioni di 1,5 e 6,4 per cento sono state applicate al minimo di 563,74 euro, determinato incrementando del 7,1 per cento il minimo dell’anno scorso. Poiché l’aumento del costo della vita nel 2023 è stato dell’8,1 per cento, a gennaio del prossimo anno verrà riconosciuta la differenza.

Con la circolare Inps 35 del 3 aprile 2023 l’Inps fornisce tutte le indicazioni in merito al campo d’applicazione e alla misura di questa misura eccezionale.

L’incremento è riconosciuto con riferimento al trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento, di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS.

NOVITÀ SUL “CARO BOLLETTE”: LE NUOVE DRITTE DELLA LEGGE DI BILANCIO 2023

Il bonus sociale, che fa parte delle agevolazioni citate rientranti nel bonus bollette 2023, spetta ai soli utenti domestici in difficoltà, ovvero: i nuclei con un ISEE al di sotto dei 15.000 euro per il primo trimestre del 2023.

La Riforma viene incontro ai cittadini che ne abbiano i requisiti, introducendo un contributo straordinario stabilito dal Regolamento in misura pari ad almeno 33 per cento della quota dell’utile imponibile dei periodi di imposta 2022 e/o 2023 che superi di oltre il 20 per cento l’utile imponibile medio generato nei quattro esercizi fiscali precedenti.

IL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ “TEMPORANEO” PER IL 2023

Con la legge di bilancio per il 2023 sono state apportate modifiche alla disciplina del contributo 2022 sul caro bollette per eliminarne alcune incongruenze ed è stato istituito per il 2023 un nuovo prelievo, denominato contributo di solidarietà temporaneo.
Questo contributo si caratterizza per avere lo stesso ambito soggettivo di applicazione del precedente contributo contro il caro bollette, ma una base imponibile diversa.

Però, quanto all’ambito soggettivo la legge di bilancio si allinea all’impostazione del regolamento UE laddove quest’ultimo pone riferimento alle imprese e alle stabili organizzazioni dell’Unione che generano almeno il 75 per cento dei ricavi da attività svolte nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffinazione.

Ciò ha consentito di rimuovere alcune criticità della originaria formulazione del contributo contro il caro bollette, che in origine aveva un ambito soggettivo tanto ampio da ricomprendere anche soggetti che svolgevano in modo del tutto marginale e occasionali una o più delle attività rilevanti.

Quanto ai criteri di determinazione della base imponibile, il contributo di solidarietà per il 2023 non fa riferimento ai dati delle liquidazioni periodiche IVA, scarsamente espressivi della reale capacità contributiva delle imprese, per invece individuare come base imponibile la quota parte del reddito determinato ai fini IRES per il 2022 che eccede per almeno il 10 per cento la media dei redditi complessivi IRES conseguiti nei quattro esercizi precedenti (quadriennio 2018-2021); questa suddetta base imponibile deve essere assoggettata a tassazione con l’aliquota del 50 per cento.

A CHI SPETTA IL BONUS BOLLETTE 2023

Sono diversi i beneficiari delle misure contro il caro energia che si distinguono in base alla tipologia di agevolazione. Innanzitutto, chi ha diritto al bonus sociale luce e gas 2023? Il bonus sociale, che fa parte delle agevolazioni rientranti nel bonus bollette 2023, spetta ai soli utenti domestici in difficoltà, ovvero:
    • i nuclei con un ISEE al di sotto dei 15.000 euro per il primo trimestre del 2023. Ricordiamo che per il primo trimestre 2022 la soglia ISEE era 8.265 euro, poi innalzata dal secondo trimestre 2022 a 12.000 euro. Come anticipato, l’ultimo rialzo del limite ISEE; 
    • i nuclei numerosi con un ISEE di 20.000 euro annui e almeno 4 figli; 
    • i beneficiari del Reddito di Cittadinanza o pensione di cittadinanza; 
    • gli utenti in condizioni di salute precarie che utilizzano apparecchiature elettromedicali.

COME RICHIEDERE IL BONUS BOLLETTE 2023

Per ottenere il BONUS BOLLETTE 2023 non è piu’ necessaria la presentazione della domanda specifica. Per ottenere i BONUS 2023 è necessario rivolgersi al CAF dove il contribuente può richiedere il calcolo ISEE. 

I bonus sono erogati direttamente in bolletta a tutte le famiglie aventi diritto, a condizione che abbiano un Isee valido ed entro la soglia indicata, nell’anno 2022. Lo sconto è applicato in maniera automatica, non è necessario presentare apposita domanda.

Al contrario, per ottenere il riconoscimento nel caso di utilizzo di apparecchiature elettromedicali per il mantenimento in vita, è necessario presentare un’apposita domanda ai CAF presenti sul territorio utilizzando i moduli messi a disposizione.

BONUS SOCIALE RETROATTIVO E COMPENSAZIONE​

È necessario specificare che grazie al Decreto aiuti 2022 il bonus sociale è diventato retroattivo e manterrà questa caratteristica anche nel 2023. Chi non l’ha ricevuto perché ha ottenuto l’attestazione ISEE che ne dà diritto successivamente al trimestre di riferimento può ottenere lo sconto nelle bollette dei trimestri successivi tramite compensazione. Qualora questo non sia possibile, nel caso di cessazione della fornitura, otterrà un rimborso.

LE MISURE GOVERNATIVE DEL GOVERNO DRAGHI SI SONO RIVELATE UN FLOP

Tra le misure messe in campo dal governo Draghi, e quelle previste nel decreto Aiuti quater approvato dall’esecutivo guidato dalla Meloni, famiglie e imprese italiane hanno ricevuto nel 2022 attorno ai 70 miliardi di euro di aiuti contro il caro bollette. Pertanto, in linea puramente teorica, il maggiore esborso in capo a famiglie e imprese sarebbe stato “calmierato”, attestandosi a circa 20 miliardi. Ma, sottolinea la CGIA di Mestre, si tratta di un importo puramente teorico, perché le imprese hanno utilizzato solo la metà degli aiuti messi a disposizione.

LE MISURE GOVERNATIVE ALLO STUDIO PER IL 2023​

Il Governo sta lavorando alla proroga e alla revisione degli incentivi, che dovrebbero abbattere ulteriormente i salassi energetici registrati nel 2022. Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha chiarito:

“Prima del 1° aprile il Governo in qualche modo interverrà per prorogare le misure di mitigazione dei prezzi per famiglie e imprese, probabilmente in una forma diversa rispetto a quella che è stata finora, che era figlia dell’emergenza. Stiamo studiando dei meccanismi, che siano magari più efficienti in termini di aiuto e più flessibili rispetto all’andamento anche dei consumi e che premino i comportamenti virtuosi per quanto riguarda il risparmio energetico. Non voglio dire cose che poi non si verificheranno, ma contiamo che da inizio febbraio i costi del gas possano scendere di circa il 40%, anche in bolletta”.

SOSPENSIONE DELLE MODIFICHE UNILATERALI DEI CONTRATTI DI FORNITURA DI ENERGIA ELETTRICA E GAS NATURALE

Il legislatore è intervenuto per impedire che contratti con condizioni favorevoli potessero essere modificati prima della loro naturale scadenza sospendendo, fino al 30 aprile 2023, l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo, ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte. Fino alla data del 30 aprile 2023 sono quindi inefficaci i preavvisi, comunicati prima del 10 agosto 2022 dai fornitori ai propri clienti relativamente all’attuazione di modifiche unilaterali di contratto, salvo che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate.

ONERI DI SISTEMA​

Per le forniture elettriche:

  • sono stati azzerati gli oneri generali di sistema per tutti i trimestri del 2022;
  • annullamento degli oneri generali di sistema anche per il I trimestre 2023 ma solo per le utenze domestiche e quelle non domestiche con potenza disponibile fino a 16,5 kW.

Per le forniture gas invece gli oneri generali sono stati ridotti per tutti i trimestri del 2022 e la misura è prorogata anche per il I trimestre 2023.

IVA AGEVOLATA​

Le forniture di gas usato per combustioni civili ed industriali (ad esclusione degli usi termoelettrici) hanno beneficiato dell’aliquota ridotta al 5% per tutto il 2022. Tale misura è prorogata anche per il I trimestre 2023 e l’agevolazione è stata estesa anche per l’energia termica prodotta con gas metano in esecuzione ad un contratto di servizio energia e per le forniture di servizi di teleriscaldamento.

Per il 2023 è stata ridotta al 10% l’aliquota IVA applicata al pellet.

AD OGGI LA SITUAZIONE​

Sono stati azzerati gli oneri generali di sistema per tutti i trimestri del 2022; annullamento degli oneri generali di sistema anche per il I trimestre 2023 ma solo per le utenze domestiche e quelle non domestiche con potenza disponibile fino a 16,5 kW.18

QUANDO FINIRA’ IL CARO BOLLETTE E COME ANDRA’ A FINIRE

Quando il prezzo del gas rientrerà dentro i parametri standard? Questa è la domanda che ormai da mesi tutta l’Europa si sta ponendo senza risposta. Sapere quando avverrà la fine di una situazione simile è infatti molto difficile, ma ci si può basare su teorie, previsioni e pronostici attendibili per ritrovare la speranza.

Da aprile ad ottobre 2021 il prezzo del gas era già quadruplicato. La ragione iniziale di questo aumento di prezzi è riconducibile alla ripresa della vita ordinaria subito dopo la pandemia globale del covid 19. Ma il picco che ha superato i massimi storici di sempre si è registrato in agosto 2022, quando la Russia ha diminuito i flussi di gas verso l’Europa minacciando il suo principale acquirente di metano.

Quando finirà il caro bollette nel 2023​

Il “caro bollette dovrebbe finire alla fine di questo inverno, quindi nella primavera del 2023, così sostiene Aslak Berge, esperto di commercio, economia e lingua. La crisi energetica e i prezzi dovrebbero stabilizzarsi completamente quando a livello europeo raggiungeremo una maggiore quantità di GNL importato da altri Paesi insieme allo sviluppo di nuova energia alternativa. Il picco massimo è stato raggiunto questo fine inverno.

Anche in quel momento i prezzi sono stati leggermente superiori rispetto a quelli a cui eravamo abituati nella fase pre crisi, ma saranno comunque ridimensionati al punto tale da essere considerati gestibili per le economie europee.

Come si arriva a questa conclusione?​

La Russia forniva all’Europa circa il 40% del suo fabbisogno di gas naturale, per cui la diminuzione dei flussi o la presunta (e minacciata) sospensione totale costituirebbe un’enorme quantità in meno del gas utile alla necessità dell’Europa.

Questa esigenza ha costretto l’Europa a trovare soluzioni alternative: il GNL importato via nave potrebbe andare a coprire la metà di questa mancanza, quindi il 20%. Questo significherebbe di conseguenza il 20% in meno del consumo necessario.

Durante il primo semestre del 2022 la domanda di gas è stata ridotta del 10%, principalmente dalle industrie. Ma la vera risposta a queste problematiche potrebbe essere la produzione di energia, basata sulla combustione di gas in molti Paesi europei. Purtroppo però l’Europa non è stata in grado di sostituire la produzione di energia elettrica da gas naturale. La causa principale di questo è stata la siccità, che ha messo in ginocchio l’idroelettrica e poi l’interruzione di più della metà della flotta nucleare francese dovuta alla manutenzione.

A marzo 2023 quindi, la sola produzione di energia elettrica diminuirebbe i consumi di gas del 10%, rispetto ai livelli di consumo pre crisi energetica.

Questi fattori, sommati, porterebbero al raggiungimento dell’indipendenza dal gas russo. Ma riepiloghiamo velocemente i punti:

  • + 20% di gas necessario tramite il GNL proveniente via nave da altri Paesi;
  • – 10% dei consumi grazie a tagli già effettivi nel primo semestre 2022, a cui si potrebbe aggiungere un ulteriore taglio nel futuro col razionamento obbligatorio della luce imposto dall’Europa;
  • + 10% dall’energia elettrica proveniente dal nucleare e dalle centrali a carbone.
Quali sono le prospettive a lungo termine?​

Secondo l’economo, se tutto questo si dovesse verificare, qualora Gasprom dovesse riaprire i suoi gasdotti verso l’Europa, nel lungo periodo la Russia potrebbe scoprire di non possedere più quella leva economica geopolitica così forte.

Qualora l’Europa, e l’Italia in primis, dovesse riuscire entro l’anno 2023 a raggiungere un nuovo assetto per ottemperare al proprio fabbisogno di gas, la Russia si ritroverebbe nel mercato del gas con meno clienti, più concorrenza e, probabilmente meno fiducia. Questo costringerebbe il Cremlino a dover rendere il proprio gas più competitivo possibile, abbassando così i prezzi.

ASSISTENZA DOMICILIARE

Cosa si intende per assistenza domiciliare

L’assistenza domiciliare consiste, come suggerisce il termine stesso, nella possibilità di ricevere cure mediche e supporto farmacologico direttamente presso la casa dell’assistito

Fornire assistenza domiciliare significa garantire al paziente di continuare a vivere tra i propri ricordi e affetti, senza essere privato di un servizio di cure necessarie per la sua condizione di salute.

L’assistenza domiciliare è un diritto del cittadino, garantito dalla legge, infatti da quando è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale come lo conosciamo oggi – con la Legge 23 dicembre 1978, n. 833 – il nostro Paese, attraverso l’azione del Ministero della Salute, ha cercato sempre di garantire al cittadino il diritto alle cure mediche, sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana con l’articolo 32, che recita così:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” Successivamente l’articolo 22 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, definisce e aggiorna i livelli essenziali di assistenza; in effetti vengono indicati i percorsi assistenziali a domicilio, (costituiti dall’insieme organizzato di trattamenti medici, riabilitativi, infermieristici) necessari per stabilizzare il quadro clinico, limitare il declino funzionale e migliorare la qualità della vita del paziente.

In altre parole, l’assistenza domiciliare è un servizio previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) con l’obiettivo di dare risposta ai bisogni di salute delle persone fragili in generale, quindi degli individui non autosufficienti, anziani, disabili e minori che necessitano di cure a domicilio in modo temporaneo o protratto nel tempo, ai fini della gestione della cronicità, della prevenzione della disabilità e del miglioramento della qualità di vita.

Questo è molto importante, infatti potersi curare nella propria casa, circondati dalle persone care, e conservando, per quanto possibile, le proprie abitudini, è un bene per chiunque, che aiuta ad affrontare il tutto in modo più rilassato.  

Se questo principio lo applichiamo a persone che vivono un effettivo disagio che rende difficile, sconsigliato o addirittura impossibile recarsi presso strutture sanitarie locali, possiamo comprendere a pieno l’importanza di un istituto come l’assistenza domiciliare.

Infine, e non è da sottovalutare, l’assistenza infermieristica a domicilio che non si limita solo alla cura del paziente, ma effettua anche un piccolo training a chi lo assiste, che sia un parente oppure una persona assunta come badante, ovvero quello che in gergo viene definito “caregiver”.

Le tipologie di assistenza domiciliare

Possono essere erogate varie tipologie di assistenza domiciliare, che si differenziano in base ai bisogni del paziente ed al livello, intensità, complessità e durata dell’intervento assistenziale. In tal senso possiamo distinguere due livelli di cure:

  • Assistenza Domiciliare Programmata (ADP)
  • Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)
Assistenza Domiciliare Programmata (ADP)

L’Assistenza Domiciliare Programmata è il livello assistenziale di base, che consiste nell’erogazione di prestazioni mediche, infermieristiche e/o riabilitative limitate al periodo della malattia in corso, con l’obiettivo di valutare i bisogni del paziente e individuare la corretta terapia. È rivolta a tutte quelle persone che non sono in grado di raggiungere il luogo in cui usufruire dei servizi necessari per la loro salute, perché non deambulanti o con gravi limitazioni funzionali che non ne permettono il trasporto con i mezzi comuni. L’esempio più tradizionale di questo tipo di assistenza è la visita a domicilio del medico di base, effettuata nei confronti dei pazienti che non deambulano, quando c’è un’effettiva impossibilità di raggiungere lo studio medico. Questa tipologia di assistenza è limitata nel tempo, ma è rinnovabile, qualora le condizioni di salute del paziente lo richiedano.

Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)

Le cure domiciliari integrate sono costituite da prestazioni professionali di vario tipo, da quelle mediche e infermieristiche fino a quelle di tipo riabilitativo e assistenziale, in un insieme integrato di trattamenti multidisciplinari. Sono dedicate a persone che necessitano di una continuità assistenziale e di interventi programmati ripetuti nel tempo, a causa delle loro gravi condizioni di salute. Il DPCM del 12 gennaio 2017 individua tre livelli di cure domiciliari integrate, determinati sulla base del grado crescente di intensità dell’intervento assistenziale:

  • Cure domiciliari integrate di primo e secondo livello. Si rivolgono a persone che non presentano criticità specifiche o sintomi particolarmente invalidanti, ma hanno comunque bisogno di continuità assistenziale con interventi che si articolano su 5 giorni (primo livello) o su 6 giorni (secondo livello) su sette. Ad esempio, è il caso di chi soffre di malattie croniche non invalidanti come il diabete o la cirrosi epatica.
  • Cure domiciliari integrate di terzo livello. Sono tutte le prestazioni professionali rivolte a pazienti con patologie ad elevato livello di complessità, instabilità clinica e sintomi di difficile controllo, e che quindi richiedono una continuità assistenziale ed interventi programmati sette giorni su sette, anche per la necessità di fornire supporto alla famiglia e ai caregivers. Rientrano in questa casistica tutti i pazienti affetti da malattie terminali o malattie neurologiche degenerative in fase avanzata.

Il Servizio Sanitario Nazionale, in seguito alla ratificazione degli accordi collettivi nazionali della medicina generale e della pediatria di libera scelta, siglati nel 2005 e nel 2009, ha previsto anche altre forme di assistenza domiciliare, oltre a quella programmata e quella integrata.  

  • assistenza domiciliare programmata nei confronti dei pazienti non ambulabili (ADP);
  • assistenza domiciliare nei confronti di pazienti ospiti in residenze protette e collettività (ADR);
  • assistenza domiciliare integrata cure palliative (ADICP);
  • assistenza domiciliare per persone con demenza (ADPD).

Iter burocratico

L’assistenza domiciliare è offerta a persone che soffrono di malattie invalidanti acute o croniche, a portatori di handicap fisici e psichici, anziani non autosufficienti, oltre che a malati terminali.

Per richiederla, bisogna rivolgersi alla propria ASL di competenza ed effettuare una segnalazione, presentando il caso del paziente bisognoso di cure domiciliari. La segnalazione può provenire dal medico di base, dall’ospedale in seguito ad un ricovero, da un familiare o dalla persona che assiste il paziente, oltre che dai servizi sociali.

L’ufficio competente dovrà accertarsi delle condizioni del paziente, attraverso una procedura che si chiama “Valutazione multidimensionale del bisogno”.

In parole semplici, l’ASL dovrà verificare lo stato del paziente per il quale si richiede l’assistenza, attraverso l’analisi delle cartelle cliniche, lo studio dei referti medici, visita domiciliare o in ospedale.

Se viene individuata l’effettiva necessità di fornire l’assistenza domiciliare al paziente, allora si procede con la “Presa in carico e definizione del piano assistenziale”.

L’ASL, quindi, sulla base delle esigenze mediche della persona bisognosa di assistenza, svilupperà un piano all’interno del quale sono indicati i trattamenti a cui sottoporlo, la tipologia di intervento medico, infermieristico o riabilitativo.

Al termine del percorso terapeutico, si procederà con le dimissioni del paziente e l’interruzione dell’assistenza domiciliare.

Come indicato sul sito del Ministero della Salute, le prestazioni sanitarie erogate tramite assistenza domiciliare sono interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, fatta eccezione per alcuni servizi.  

I costi da sostenere per gli interventi infermieristici e di assistenza tutelare sono equamente divisi tra il S.S.N. (Servizio Sanitario Nazionale) e il Comune di residenza, oppure il paziente stesso.

Bisogna verificare la tipologia di copertura offerta dal proprio Comune di residenza, per avere un quadro preciso dei costi da sostenere per ricevere le cure a domicilio.

La domanda può essere presentata attraverso i seguenti canali:

  • servizio online dedicato (portale welfare) tramite le proprie credenziali;
  • contact center tramite le proprie credenziali;
  • patronati, mostrando gli estremi del verbale che certifica lo stato di invalidità

Il termine per la lavorazione della domanda è fissato a 30 giorni.

Altre forme di assistenza domiciliare: Ospedalizzazione domiciliare

Oltre all’assistenza domiciliare, nelle forme che abbiamo illustrato fino ad ora, il Servizio Sanitario Nazionale, offre anche il servizio di ospedalizzazione domiciliare.

In caso di patologie o condizioni cliniche particolarmente complesse, che necessitano di assistenza medica e infermieristica 24h su 24h, allora la struttura ospedaliera può richiedere e predisporre l’ospedalizzazione domiciliare, con il proprio personale.

Oltre alle visite mediche e agli interventi infermieristici e assistenziali, l’ospedalizzazione domiciliare prevede anche la fornitura di dispositivi e attrezzature, come ad esempio gli erogatori di ossigeno, oppure ausili per la deambulazione.

L’ospedalizzazione dura in media 60 giorni, durante i quali il medico generale e i medici ospedalieri si alternano per le visite e i controlli quotidiani, coadiuvati da infermieri professionisti. Al termine del periodo di ospedalizzazione, è possibile attivare una assistenza domiciliare integrata per il paziente, fino alle dimissioni.

Anziani e Covid - 19

La categoria più a rischio di contagio da Coronavirus è certamente quella degli anziani poiché a causa dell’età e delle patologie concomitanti rappresenta la fascia di popolazione più in pericolo di sviluppare sintomi gravi dovuti all’infezione da Coronavirus. La malattia da Coronavirus si trasmette attraverso goccioline emesse dalla bocca o dal naso di una persona infetta. Il contagio può avvenire

  • in maniera diretta, cioè trovandosi a distanza ravvicinata con un individuo infetto,
  • in maniera indiretta, attraverso superfici ed oggetti contaminati. 

L’infezione da Coronavirus può provocare dei sintomi respiratori molto gravi, soprattutto nei soggetti affetti da un’altra malattia respiratoria come ad esempio la BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) o la bronchite cronica, ma anche in caso di soggetti affetti da patologie croniche concomitanti non di tipo respiratorio, come ad esempio il diabete mellito e le cardiopatie.

Gli anziani sono più a rischio di sviluppare un’infezione da Coronavirus grave, oltre che per la presenza di patologie concomitanti anche a causa di un sistema immunitario spesso compromesso. Alla luce di quanto sopra descritto sono stati messi ancora più in risalto alcuni limiti presenti nel nostro sistema dei servizi ed interventi sociali agli anziani. Al di là delle difficoltà strutturali legate alla scarsità di risorse impegnate in termini di assistenza, alle difficoltà di numerose realtà territoriali nel garantire livelli di sevizio adeguati ed efficienti, alcune delle criticità riguardano i modelli di concezione dei bisogni della popolazione anziana. In effetti, la diffusione del Covid ha fatto crollare alcune delle certezze: in parte perché le strutture per anziani sono state sottoposte a livelli di rischio significativamente elevati, ma anche perché sono emersi nuovi bisogni sociali della vita anziana (ad esempio la necessità di socializzazione in condizioni di isolamento sociale, anche a fronte delle ricadute psicologiche legate alle norme di distanziamento, i bisogni legati alla mobilità indipendente), che escono dalla classica distinzione legata al concetto di autosufficienza. E’ certo che prima dell’emergenza alcuni bisogni “leggeri” erano soddisfatti dalla rete familiare e/o amicale. La lontananza dai figli, che durante la pandemia è stata una “lontananza obbligata” spesso ha rappresentato motivo di affaticamento della vita anziana, al pari, ad esempio, di alcune situazioni legate a condizioni di malattia che limitano l’autonomia dei soggetti. Questi nuovi bisogni sono correlati, non solo alle condizioni di salute dell’anziano, quanto anche alla sua rete sociale e relazionale, che durante la pandemia si è forzosamente rarefatta.

Esiste quindi una condizione dell’anziano che è quella fragile, intermedia tra l’autosufficienza piena e la non autosufficienza, che durante il periodo Covid si è particolarmente evidenziata. Si tratta di una zona grigia non predeterminabile a priori o attraverso un’analisi di natura medica e le cui caratteristiche differiscono in maniera significativa da soggetto a soggetto. Proprio questa diversa fragilità individuale richiede un sistema di osservazione dei bisogni maggiormente orientato al cambiamento graduale e più capace di rispondere al singolo problema più che ad una certa categoria sociale. Lo abbiamo ben compreso durante il lockdown: in un momento storico in cui l’isolamento sociale e il distanziamento hanno rappresentato buone norme di comportamento finalizzate alla riduzione del contagio, la solitudine delle persone anziane può aver rappresentato un rischio significativo da non sottovalutare.

Tale condizione va tenuta di conto soprattutto oggi che le norme che definiscono il distanziamento e la ridotta mobilità sono nuovamente diffuse, seppur a gradi diversi, sull’intero territorio italiano. C’è da chiedersi infatti cosa succede ad un anziano solo in caso di bisogno non sanitario? Se non sono presenti i figli, chi può sostenere le normali pratiche quotidiane, quali l’approvvigionamento alimentare, il pagamento delle bollette, la corretta vigilanza sulla manutenzione della casa, l’acquisto dei farmaci e il suo corretto/regolare utilizzo? 

In tal senso, occorre immaginare che, oltre ad interventi più o meno strutturati, è necessario costruire interventi di prossimità che, da un lato, permettano all’anziano di non cadere in un vortice di abbandono e di scoraggiamento, e dall’altro sostengano realmente il carico di cura dei figli, altrimenti assoggettati al rischio di schiacciamento tra la cura dei figli e quella dei genitori .Si tratta di interventi leggeri, flessibili, a volte saltuari e di breve durata, erogati dal privato sociale e dal volontariato, molto spesso complementari ed integrativi a quelli organizzati dalla rete “standard” dei servizi. 

Ad esempio in alcuni comuni d’Italia è stata attivata, tramite le organizzazioni di terzo settore presenti su specifici territori, il servizio di consegna dei farmaci e/o degli alimenti a domicilio: tali servizi, ampiamente presenti in alcune aree metropolitane erano quasi (o del tutto) assenti nei contesti periferici o nei piccoli Comuni (soprattutto del Mezzogiorno). Il potenziamento di reti “sociali di prossimità” ha permesso non solo di affrontare questa specifica situazione legata al contenimento della diffusione del Covid-19 (evitando che siano gli anziani a dover provvedere autonomamente a farmaci ed alimenti), ma ha anche consentito di rappresentare una cerniera tra le persone e i servizi sociali. In tal modo eventuali situazioni di particolare difficoltà possono essere preventivamente conosciute e monitorate soprattutto con riferimento agli anziani soli e/o con i figli “distanti”.

 Si registrano quindi eventi di categoria (quali la vedovanza, il cambio di città dei figli, la riduzione delle proprie risorse economiche, il cambio di residenza) ed eventi che interessano tutti, quali la pandemia, che sommati ad uno o più dei precedenti, gravano significativamente sulla vita degli anziani e rappresentano motivo forte di fragilità.

 Interventi mirati al sostegno della vita di queste persone, permettono di ridurre il numero di coloro che possono scivolare verso una condizione di bisogno più significativa e quindi richiedere poi interventi maggiormente strutturati. Non si tratta soltanto di una riduzione del rischio legato ai costi, quanto piuttosto di introdurre interventi locali che possano garantire il più possibile un’autonomia piena dell’anziano, anche a partire dal mantenimento di vita nel proprio domicilio abituale.

In particolare, nelle aree in cui il numero dei servizi, il loro livello qualitativo e di efficacia, incontrano numerose difficoltà, le situazioni meno standardizzate, come la fragilità degli anziani, rappresentano nuovi problemi sociali di ampia portata, talvolta difficilmente compresi dai sistemi di osservazione del welfare locale. Dall’attenzione scientifica verso le diverse condizioni che caratterizzano la condizione anziana, alle possibilità di azione che tale riconoscimento assume a livello locale e di servizi, risulta evidente la necessità di mettere a sistema una rimodulazione dei bisogni. I bisogni si presentano infatti come dati non solo binari (dall’autonomia alla dipendenza) ma dialettici (autonomia – vulnerabilità/fragilità – dipendenza); tale riconfigurazione e rilettura dei bisogni della popolazione anziana consente di garantire un maggiore livello di benessere agli anziani stessi (nonché per le reti familiari), senza appesantire inutilmente i servizi di cura e di assistenza dedicati a situazioni di maggiore gravità e rischio.

 Un cambio di passo nell’osservazione delle varie condizioni della vita anziana, può permettere di costruire interventi di welfare che abbiano la caratteristica dell’elasticità e dell’immediatezza da affiancare a quelli tradizionali: in definitiva si tratta di costruire interventi complementari al welfare tradizionale, in grado di contribuire a garantire il godimento di una vita buona a tutte le età.

PENSIONE DI INABILITÀ – INVALIDITÀ CIVILE

La pensione di inabilità è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei lavoratori per i quali viene accertata l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.

L’inabilità identifica uno stato invalidità al 100% in cui il soggetto non può svolgere alcuna attività lavorativa, nemmeno a carattere temporaneo. Il nostro ordinamento prevede due trattamenti di inabilità a seconda se il soggetto abbia o meno contribuzione accreditata nel proprio conto corrente assicurativo. Si tratta dell’inabilità previdenziale, regolata dalla legge 222/1984, , e della pensione di inabilità civile regolata dall’articolo 12 della legge 118/1971 che è invece, una prestazione assistenziale, vincolata al rispetto di determinati requisiti reddituali

Destinatari

Hanno diritto alla pensione di inabilità i lavoratori:

  • dipendenti;
  • autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri);
  • iscritti alla Gestione Separata

Requisiti

La pensione di inabilità viene concessa in presenza di assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa di infermità o difetto fisico o mentale, valutati dalla Commissione Medica Legale dell’INPS e di almeno 260 contributi settimanali (cinque anni di contribuzione e assicurazione) di cui 156 (tre anni di contribuzione e assicurazione) nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. Oltre al riconoscimento dell’inabilità totale o permanente (100%) è richiesta:

  • la cessazione di qualsiasi tipo di attività lavorativa;
  • la cancellazione dagli elenchi anagrafici degli operai agricoli e dagli elenchi di categoria dei lavoratori autonomi;
  • la cancellazione dagli albi professionali;
  • la rinuncia ai trattamenti a carico dell’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e a ogni altro trattamento sostitutivo o integrativo della retribuzione;
  • reddito inferiore alla soglia stabilita ogni anno per legge (per il 2022: 17.050,42 euro);
  • età compresa tra i 18 e i 67 anni;
  • cittadinanza italiana oppure:
    • per i cittadini stranieri comunitari: iscrizione all’anagrafe del comune di residenza;
    • per i cittadini stranieri extracomunitari: permesso di soggiorno di almeno un anno (art. 41 TU immigrazione);
  • residenza stabile e abituale sul territorio nazionale.

COME FARE LA DOMANDA

La domanda per richiedere la pensione di inabilità può essere presentata:

  • tramite il portale online dell’INPS accedendo al servizio con le proprie credenziali, 
  • tramite una sede del Patronato INPAS. (Istituto Nazionale di Previdenza e Assistenza Sociale)
  • Tramite un Patronato

Nella domanda devono essere inseriti i dati socioeconomici: eventuali ricoveri, svolgimento di attività lavorativa, dati reddituali, indicazione delle modalità di pagamento e della delega alla riscossione di un terzo o in favore delle associazioni.

L’iter di riconoscimento si conclude con l’invio da parte dell’INPS del verbale di invalidità civile tramite raccomandata A/R o all’indirizzo PEC, se fornito dall’utente, e resta disponibile nel servizio Cassetta postale online.

Non è possibile presentare una nuova domanda per la stessa prestazione fino a quando non sia esaurito l’iter di quella in corso o, in caso di ricorso giudiziario, finché non sia intervenuta una sentenza passata in giudicato. (Fanno eccezione le domande di aggravamento)

Il termine ordinario per l’emanazione dei provvedimenti è stabilito dalla legge n. 241/1990 in 30 giorni. In alcuni casi la legge può fissare termini diversi.

La pensione viene corrisposta per 13 mensilità a partire dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda o, eccezionalmente, dalla data indicata dalle competenti commissioni sanitarie.

Per l’anno 2022 l’importo della pensione è di 291,69 euro mensili.

Importi differenziati sono previsti per i ciechi totali o parziali. In particolare:

  • Pensione per ciechi parziali euro 215,35
  • Pensione per ciechi assoluti euro 315,45

Differenze tra pensione di inabilità e pensione di invalidità

Spesso pensione di inabilità al lavoro e pensione di invalidità vengono confuse, ma si tratta di due prestazioni distinte.

Mentre la pensione di inabilità riguarda i soggetti totalmente e permanentemente inabili al lavoro, la pensione di invalidità – o, più correttamente, l’assegno ordinario di invalidità – riguarda chi subisce una riduzione della capacità lavorativa di oltre il 67%.

Inoltre, la pensione di inabilità ha carattere permanente (esattamente come il motivo per cui viene erogata), a differenza della pensione di invalidità, che ha invece una durata temporanea di 3 anni.

Per ottenere il rinnovo, se sussiste la ridotta capacità lavorativa, occorre fare nuovamente domanda a partire dai 6 mesi che precedono la scadenza e non oltre 120 giorni dopo la scadenza stessa.

Dalla terza conferma della prestazione, il rinnovo diviene automatico.

L’importo dell’assegno di invalidità può essere determinato in due modi:

  1. con il sistema di calcolo misto che prevede che una quota sia calcolata con il sistema retributivo e una quota con il sistema contributivo oppure,
  2.  se il lavoratore ha iniziato l’attività lavorativa dopo il 31 dicembre 1995, totalmente con il sistema contributivo.

PENSIONE CON QUOTA 103 – 2023

Cosa è Quota 103

Quota 103 è una forma di pensione anticipata che permette l’accesso al trattamento pensionistico con 41 anni di contributi versati e 62 anni d’età (la somma di questi valori dà appunto “103”) maturati entro il 31 dicembre 2023, facendo riferimento quindi ai nati nel 1960-1961. Si tratta di uno strumento che segue il sistema delle “quote”, come la ormai vecchia Quota 100 o Quota 102 (in scadenza il 31 dicembre 2022) che permette un’uscita anticipata dal lavoro. Secondo quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2023, pur non prevedendo penalizzazioni per chi sceglie questo prepensionamento, il Parlamento stabilisce un tetto massimo per l’assegno pensionistico che non potrà essere superiore a 5 volte il valore dell’assegno minimo (cioè a 2.818,7 euro). Un limite da rispettare fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni con almeno 20 anni di contributi versati). In quel momento verrà poi riconosciuto il conguaglio degli importi calcolati complessivamente sul montante contributivo effettivo. (Seguirà circolare INPS non ancora pubblicata). E’ previsto per la durata dell’anticipo, il divieto di cumulo con i redditi da lavoro fino alla pensione di vecchiaia, ad eccezione dei redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale per un importo di 5.000 euro. Dunque, la legge di bilancio 2023 L. 197-2022 in vigore dal 1 gennaio, introduce all’art 1 co. 283-285 in via sperimentale SOLO per il 2023, una nuova forma di pensione anticipata, definita dalla norma pensione anticipata flessibile”, ma comunemente detta “Quota 103”

Vediamo come funziona Quota 103

Come già anticipato, Quota 103 permette di uscire prima del tempo dal mondo del lavoro e andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni d’età (la somma è “103”). L’uscita anticipata è possibile solo per chi raggiungerà i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2023. Per chi decide di andare in pensione con questa via, non ci sarà alcuna penalizzazione circa il criterio di calcolo dell’assegno, ma solo un tetto massimo per il trattamento riconosciuto. In buona sostanza, si applicherà il sistema retributivo – assegno calcolato sullo stipendio – sulla anzianità acquisite sino al 31 dicembre 1995 e, poi, il sistema contributivo – assegno calcolato solo sui contributi versati –  dal 1° gennaio 1996. Tuttavia, chi decide di entrare in questa finestra, fino a maturazione dei requisiti dell’età per la pensione di vecchiaia non potrà ricevere un assegno superiore a 5 volte quello minimo, ossia sopra i 2.818,7 euro lordi. Quindi, tra i 62 e i 67 anni (età necessaria per la pensione di vecchiaia) chi sceglie Quota 103 dovrà rinunciare a un trattamento superiore a 5 volte l’assegno minimo. Dai 67 anni in poi, invece, riceverà l’assegno che gli spetta secondo la sua specifica situazione contributiva. Si ricorda, infine, che nel 2022 le pensioni minime ammontano 525,38 euro mensili circa, ma che nel 2023 aumenteranno a 563,74 euro, per questi motivi, considerando il valore della pensione minima di 563,74 euro, chi va in pensione prima dei 67 anni di età non potrà ricevere un assegno pensionistico superiore a 2.818,7 euro.

Entrata in vigore della Quota 103 per lavoratori pubblici e privati

Come tutti gli strumenti flessibilità in uscita di questo tipo, per accedere a Quota 103 sono previste finestre di attesa differenti, ossia periodi più o meno lunghi tra la maturazione dei requisiti e il riconoscimento del primo assegno pensionistico. Più precisamente:

  • per i lavoratori privati, il trattamento pensionistico anticipato decorrerà dopo 3 mesi dalla maturazione dei requisiti per la pensione Quota 103;
  • per i lavoratori pubblici, il trattamento pensionistico decorrerà dopo 6 mesi dalla data di maturazione dei requisiti pensione Quota 103. In un’apposita Circolare, poi, l’INPS chiarirà i dettagli sulle finestre temporali relative all’applicazione di Quota 103. 

Si precisa che, tenuto conto della specificità del rapporto di impiegato nella pubblica amministrazione e dell’esigenza di garantire la continuità e il buon andamento dell’azione amministrativa: 

  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2022 accedono a Quota 103 dal 1° agosto 2023;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti dal 1° gennaio 2023, fruiscono del pensionamento anticipato trascorsi sei mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi, comunque non prima del 1° agosto 2023;
  • la domanda di collocamento a riposo dev’essere “presentata all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi” (articolo 14.1, comma 6).

Entrata in vigore della Quota 103 per il personale scolastico

Per quanto concerne il personale scolastico e AFAM, Quota 103 non prevede finestre di attesa per percepire l’assegno pensionistico. Tali dipendenti hanno una sola possibilità di uscita annuale che corrisponde alla data del 1° settembre di ogni anno. Così come previsto dall’articolo 59, comma 9, della Legge 449 del 1997, per il personale scolastico, la cessazione dal servizio e la decorrenza della pensione ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico. Cioè, se l’interessato matura i requisiti richiesti per la pensione Quota 103, durante l’anno 2023, potrà andare in pensione dal 1° settembre 2023. 

Si precisa che la domanda di cessazione dal servizio dev’essere presentata entro il 28 febbraio 2023 con effetti dall’inizio, dell’anno scolastico per il personale della scuola e accademico per il personale AFAM

Quali sono i requisiti richiesti per Quota 103

Il diritto alla pensione Quota 103 si consegue al raggiungimento, entro il 31 dicembre 2023 dei seguenti requisiti:

  • età anagrafica di almeno 62 anni;
  • anzianità contributiva di almeno 41 anni, anche in cumulo tra diverse gestioni INPS (alle gestioni INPS AGO dipendenti, pubblici e privati, e forme esclusive e sostitutive; alle gestioni speciali INPS – artigiani e commercianti, agricoltura, gestione separata – per lavoratori autonomi e parasubordinati).

Sono esclusi il personale militare e delle forze armate, di polizia, vigili del fuoco e guardia di finanza.

Sono previste due tempistiche differenti per la decorrenza degli assegni

Ii soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2022 hanno diritto al trattamento:

  • dal 1° aprile 2023 se dipendenti privati;
  • dal 1° agosto 2023 se dipendenti pubblici (con presentazione della domanda di collocamento a riposo alla pubblica amministrazione di appartenenza con un preavviso di almeno sei mesi). 

I soggetti che maturino i requisiti successivamente al 31 dicembre 2022 conseguono il diritto alla pensione:

  • dal quarto mese successivo a quello di maturazione dei requisiti, se dipendenti privati; 
  • dal settimo mese se dipendenti pubblici.
    Il personale del comparto scuola ed AFAM a tempo indeterminato può presentare domanda di cessazione dal servizio entro il 28 febbraio 2023, con effetti dall’inizio dell’anno scolastico o accademico.

Per chi matura i requisiti di Quota 103 è previsto anche un incentivo, riservato ai lavoratori dipendenti che decidano comunque di rimanere al lavoro: consiste nell’esonero dal versamento dei contributi a carico del lavoratore che sono, in genere, pari al 9,19% della retribuzione imponibile, per il periodo di percezione dell’assegno anticipato. L’importo corrispondente viene versato in busta paga.

Come presentare domanda

Con il Messaggio n. 754 del 21-02-2023, l’INPS comunica l’aggiornamento del sistema di gestione delle domande di pensione, al fine di consentire la presentazione delle richieste di accesso al pensionamento anticipato con Quota 103; infatti specifica che tali domande possono essere presentate attraverso i seguenti canali:

  • direttamente dal sito INPS, accedendo tramite SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di Livello 2, CNS (Carta Nazionale dei Servizi) o CIE (Carta di identità elettronica 3.0). Si dovrà seguire il percorso: “Pensione e previdenza” > “Domanda di pensione” > Area tematica “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”;
  • utilizzando i servizi telematici offerti dagli Istituti di Patronato riconosciuti dalla legge;
  • chiamando il Contact Center Integrato al numero verde 803164 (gratuito da rete fissa) o il numero 06164164 (da rete mobile a pagamento in base alla tariffa applicata dai diversi gestori).