BONUS RISTRUTTURAZIONE BAGNI E DOCCIA

Nella nuova Legge di Bilancio diverse sono le novità relative ai bonus edilizi 2024 previsti e riconosciuti anche il prossimo anno.

Il Governo ha intenzione di confermare molti aiuti per incentivare la riqualificazione edilizia, l’adeguamento energetico e per aiutare i cittadini in difficoltà economica.

Rientrano nei bonus ristrutturazione casa il bonus previsto per la ristrutturazione bagni e pertanto il bonus doccia.

Il bonus ristrutturazione consiste in una detrazione Irpef pari al 50% delle spese sostenute per interventi di ristrutturazione edilizia, fino a un tetto di spesa di 96mila euro. Per ottenere tale aliquota, la spesa deve essere sostenuta nel periodo compreso tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2024.

BONUS RISTRUTTURAZIONE BAGNO

Il bonus ristrutturazione bagno è un’agevolazione fiscale concessa a chi effettua lavori di ristrutturazione del bagno, ovvero, una detrazione IRPEF del 50% sulle spese sostenute fino ad un massimo di € 96.000 di importo totale.

L’incentivo per il rifacimento del bagno è comunque il bonus ristrutturazioni, previsto per lavori di manutenzione straordinaria è confermato fino a tutto il 2024.

La ristrutturazione del bagno rientra generalmente tra gli interventi edilizi che possono beneficiare del bonus del 50%. Ciò include lavori come la sostituzione di sanitari, rifacimento delle piastrelle, installazione di nuovi impianti idraulici o elettrici e così via.

Il corrispettivo della detrazione va suddiviso in 10 rate annuali da utilizzare nella dichiarazione dei redditi in compensazione dell’IRPEF, oppure si può optare per lo sconto in fattura e per la cessione del credito.

Le detrazioni per il rifacimento del bagno interessano solo abitazioni o parti in comune di edifici residenziali. Sono esclusi gli interventi su edifici e strutture con destinazione d’uso diversa dall’uso abitativo.

Per usufruire del bonus ristrutturazione bagno sono necessari alcuni adempimenti

  • pagare le spese con bonifico parlante;
  • effettuare tutti gli adempimenti dovuti in termini di comunicazioni;
  • indicare correttamente i dati catastali, l’importo e le rate nella dichiarazione dei redditi;
  • conservare tutta la documentazione.

Possono beneficare della detrazione fiscale i proprietari o possessori dell’immobile, coloro che hanno il diritto di godimento o la nuda proprietà e i familiari conviventi.

Il bonus per il rifacimento del bagno scade il 31 dicembre 2024, successivamente dal 2025 la detrazione sarà al 36% sulle spese sostenute fino ad un massimo di € 48.000 di importo totale.

È possibile rifare l’impianto idrico o realizzare un nuovo bagno

Non è ammessa la detrazione per la semplice sostituzione dei sanitari, qualora non sia contestuale al rifacimento degli impianti. La sola sostituzione dei sanitari è un intervento di manutenzione ordinaria o di miglioramento estetico.

Sostituire piastrelle, sanitari o rubinetteria, così come tinteggiare le pareti, in genere sono lavori esclusi dalle agevolazioni fiscali. Possono essere portati in detrazione solo se comprese in un intervento di ristrutturazione straordinaria e generale dell’edificio.

Il rifacimento del bagno può essere eseguito in regime giuridico di edilizia libera, in quanto qualificato come “manutenzione ordinaria”, pertanto può essere eseguito senza la necessita di ottenere alcun titolo abilitativo, ovvero, è possibile accedere alle detrazioni fiscali senza una CILA.

Quando la ristrutturazione del bagno comprende anche la sostituzione delle tubature, degli impianti e del massetto, l’intervento si configura come ‘manutenzione straordinaria’ e, di conseguenza, è necessaria la CILA.

Quando è necessaria la CILA o non è necessaria per il rifacimento bagni

La richiesta di una CILA per ristrutturazione del bagno dipende da diversi fattori. In generale, la CILA è necessaria quando le opere comportano modifiche sostanziali agli impianti idrici, elettrici o termici dell’edificio.

Se le modifiche coinvolgono la sostituzione dei sanitari, dei pavimenti, delle piastrelle o dei rivestimenti, di norma non è richiesta la presentazione del presente documento, ma se si tratta di lavori più complessi come la demolizione o la costruzione di pareti, o l’installazione di nuovi impianti idraulici o elettrici, è necessario presentare la CILA al comune competente.

Al fine di non incorrere in eventuali sanzioni, la Comunicazione di inizio lavori asseverata deve essere presentata prima dell’inizio dei lavori, insieme alla documentazione tecnica necessaria.

Tuttavia, ci sono alcune situazioni in cui la CILA non è richiesta:

la CILA non è richiesta per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, come la riparazione di un muro o la sostituzione di un impianto elettrico. Questi lavori di piccola entità non richiedono la presentazione di documenti specifici, consentendo di intervenire direttamente senza ulteriori formalità.

Inoltre, la CILA non è necessaria per opere interne non visibili dall’esterno, come la realizzazione di un controsoffitto o l’installazione di pavimenti. In questi casi, non essendo coinvolta la struttura portante dell’edificio, la normativa semplifica le procedure amministrative, evitando oneri burocratici inutili.

Infine, la CILA non è richiesta per le opere effettuate all’interno di unità immobiliari già accatastate. Se si tratta di lavori interni che non alterano la volumetria o la destinazione d’uso dell’immobile, la comunicazione di inizio lavori può essere evitata.

La mancata presentazione della CILA comporta innanzitutto l’illegalità dell’opera in questione. Ciò significa che si rischia l’applicazione di multe salate e sanzioni penali. Inoltre, le autorità potrebbero richiedere la demolizione dell’opera stessa, causando perdite finanziarie considerevoli per il proprietario.

Oltre alle ripercussioni legali, la mancanza della CILA può comportare problemi tecnici. Senza un controllo e una supervisione adeguati, il lavoro effettuato potrebbe essere realizzato in modo non sicuro o non conforme alle norme vigenti.

Inoltre, ignorare la CILA può avere conseguenze sul valore del patrimonio immobiliare. Gli immobili senza la documentazione corretta possono essere considerati irregolari e difficilmente vendibili o affittabili, comportando un’importante svalutazione dell’investimento effettuato.

Quando si fa la CILA e quando la SCIA

La ristrutturazione del bagno è un progetto importante, che richiede attenzione ai dettagli e una pianificazione accurata.

Come precedentemente visto all’inizio dell’articolo, quando si tratta di rifacimento del bagno, possono essere due i documenti da presentare per la ristrutturazione: la CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata) o la SCIA (Segnalazione certificata di Inizio Attività).

La comunicazione di inizio lavori asseverata viene richiesta quando i lavori di ristrutturazione del bagno coinvolgono solo interventi di natura esterna o di manutenzione ordinaria, che non richiedono particolari autorizzazioni o permessi.

Il presente documento viene presentato all’amministrazione comunale prima dell’inizio effettivo dei lavori, e serve principalmente a informare l’autorità competente sulle attività che saranno svolte.

La segnalazione certificata di inizio attività invece, viene richiesta quando i lavori di ristrutturazione del bagno comportano modifiche strutturali o interventi che richiedono un permesso edilizio. In questo caso, è necessario presentare una segnalazione certificata all’ufficio tecnico del comune, accompagnata dalla documentazione necessaria per ottenere l’autorizzazione.

La differenza fondamentale tra le due procedure è che la comunicazione di inizio lavori asseverata è una semplice notifica, mentre la segnalazione certificata di inizio attività richiede un’autorizzazione specifica da parte delle autorità competenti.

BONUS DOCCIA

Con il Bonus doccia 2023 è possibile usufruire della detrazione del 75% delle spese sostenute da ripartire in 5 rate annuali di pari importo. Oltre a tali detrazioni è possibile ancora accedere alla cessione del credito e allo sconto in fattura.

Il bonus barriere architettoniche e di conseguenza dunque anche il bonus doccia, non si può ottenere se l’unico lavoro posto in essere sarà quello della sostituzione dei sanitari. La sostituzione del vasca o del vecchio box è agevolabile solo se correlata o integrata ad interventi maggiori per i quali compete la detrazione d’imposta.

E’ stato ribattezzato “Bonus Doccia” o “Bonus Bagni”, in realtà – però – è un derivato dal bonus per l’eliminazione delle barriere architettoniche. Vi spieghiamo la natura di questa agevolazione e anche qualche dubbio degli esperti. La misura è stata prorogata dal governo Meloni fino al 2025.

Cos'è

Il bonus doccia si presenta non come un’agevolazione indipendente e a sé, bensì si tratta di una misura più piccola all’interno del bonus per l’eliminazione delle barriere architettoniche. In particolare, si tratta di un’agevolazione che garantisce una detrazione dal valore del 75% sulle spese sostenute per la sostituzione di vecchi impianti doccia. La detrazione, inoltre, verrà suddivisa in 5 rate dal medesimo importo distribuite in modo annuale. Infine, è bene evidenziare che fino ad oggi, l’incentivo è approvato dal governo fino all’anno 2025.

L’agevolazione consiste in una detrazione (di base al 75%) per la realizzazione di interventi direttamente finalizzati al superamento e all’eliminazione di barriere architettoniche in edifici già esistenti, in relazione alle spese sostenute nell’anno precedente. Sono quindi compresi anche i bagni. Ma la finalità, questo è bene che sia chiaro, non è agevolare il semplice rifacimento di un bagno, bensì rimuoverne le barriere architettoniche.

Il bonus doccia permette di accedere ad una detrazione pari al 75% sulle spese sostenute. Per quanto riguarda il limite massimo di spesa, è bene evidenziare che questo può variare in base alle tipologie di acquisti. Nello specifico, per quanto riguarda gli edifici immobiliari, e unifamiliari all’interno di strutture plurifamiliari, il limite massimo è pari a 50 mila euro. Invece, per quanto concerne gli edifici caratterizzati da almeno 2 e fino ad 8 strutture immobiliari, si parla di un limite di spesa pari a 40 mila euro. In aggiunta, il limite di spesa per gli edifici con più di otto unità immobiliari cala a 30 mila euro.

Infine, è bene evidenziare che per accedere all’incentivo è necessario rispettare alcuni requisiti. Come prima cosa, i sanitari devono essere di formato sospeso e, inoltre, il piano superiore deve essere disposto ad almeno 80 centimetri dal calpestio senza la colonna.

NOVITÀ RIFORMA PENSIONI

Nel 2023 – 2024 è prevista una nuova Riforma Pensioni Meloni, in vista di una più ampia revisione del sistema previdenziale. Nel frattempo, le prime novità in tema di flessibilità in uscita per garantire nuove formule di pensione anticipata, si procederà con la Manovra 2024.

Pensioni: misure in Legge di Bilancio 2024

Le misure da inserire nella prossima Legge di Bilancio 2024 dovrebbero seguire le linee guida sopra riportate:

  • conferma Quota 103 (con 41 anni di contributi),
  • stop all’Opzione Donna (o conferma dei requisiti 2023),
  • proroga APE Sociale 2024 (si valuta l’estensione a nuove categorie di lavoratori).

OBIETTIVI DEL GOVERNO:

La volontà di Governo è una riforma basata sul sistema contributivo.

L’obiettivo è arrivare ad una Riforma Pensioni condivisa, dopo le proroghe inserite nella Legge di Bilancio 2023 per quanto concerne APe Social ed Opzione Donna.

Garantire la flessibilità di uscita dal mondo del lavoro, mantenendo attiva l’opzione agevolata riservata alle donne e alle categorie svantaggiate con una uscita graduale da Quota 103: è l’obiettivo chiave per la Riforma Pensioni, da avviarsi con la Legge di Bilancio 2024 ma da completarsi nel corso dell’anno.

In cima alla lista delle priorità ci sono anche i giovani: l’esigenza è di assicurare un inserimento nel mondo del lavoro stabile, così da evitare carriere discontinue e stipendi bassi, con effetti sulle future pensioni.

Tra le misure in prima linea per la Riforma Pensioni 2024 c’è la Quota 103, che permette di andare in pensione con 62 anni di età e 41 anni di contributi.

Nel 2023, l’Opzione Donna è concessa alle donne di 60 anni di età con 35 anni di contributi maturati entro il 2022 (un anno di età in meno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni di sconto). Tuttavia, bisogna anche rientrare in una specifica categoria:

  • lavoratrici licenziate o dipendenti di imprese con un tavolo di gestione della crisi aperto presso il Ministero,
  • caregiver familiari da almeno sei mesi,
  • con ridotta capacità lavorativa superiore o uguale al 74%.

L’APE Sociale dovrebbe essere prorogata nel 2024 alle stesse condizioni  del 2023, per andare in pensione a 63 anni con 30 anni di contributi o 36 anni di versamenti, purchè rientranti in una delle categorie ammesse: caregiver, riduzione capacità lavorativa pari almeno al 74%, disoccupati involontari che abbiano terminato di percepire il sussidio, addetti a mansioni gravose. Nei primi tre casi il requisito contributivo è pari a 30 anni, per i lavori gravosi sale a 36 anni.

I riflettori sono puntati sulla Quota 41. Nelle prime ipotesi si parla infatti di conferma di Quota 103 (62 di età + 41 anni di contributi) e APE Sociale, mentre sembra tramontare la speranza di un ritorno ai vecchi requisiti per l’Opzione Donna.

Da ripensare anche temi legati al reddito dei pensionati (14esima, rivalutazione assegni ecc.) e alla pensione complementare.

PENSIONE QUOTA 41

Prevede la pensione anticipata con 41 anni di contributi, senza calcolo dell’assegno (che resta con sistema misto o retributivo). I Sindacati vorrebbero una Quota 41 per tutti senza limiti di età e di categoria, mentre il Governo potrebbe “cedere” soltanto per un eventuale compromesso, aprendosi ad esempio alle categorie di lavoratori addetti alle mansioni gravose.

Nel 2023 è stata adottata intanto la Quota 41 ibrida (con accesso alla pensione da 62 anni), mentre in futuro si eliminerà il requisito anagrafico. Per la Pensione Precoci, invece, ci vogliono 41 anni senza soglia anagrafica. Questa agevolazione resterà immutata.

Pensione a 64 anni con ricalcolo contributivo

Si trattava di una proposta avanzata lo scorso anno dal Governo, simile all’Opzione Donna, ribattezzata infatti Opzione Uomo: prevedeva la pensione anticipata rinunciando alla quota maturata con sistema retributivo, con un intero ricalcolo contributivo della pensione.

PENSIONE CON ANTICIPO QUOTA CONTRIBUTIVA

Si trattava di un meccanismo proposto dall’INPS per accedere prima alla sola quota contributiva della pensione, ad esempio a 63 anni di età con almeno 20 anni di contributi ed un importo minimo di 1,2 volte l’assegno sociale. Al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia si prenderebbe anche la quota retributiva della pensione maturata.

PENSIONE IN AUMENTO DA LUGLIO, OLTRE ALLA QUATTORDICESIMA

Scattano dal 1 luglio 2023 i tanto annunciati aumenti delle pensioni minime individuati già nella Legge di bilancio, che interesserà una platea di circa 1,3 milioni di pensionati italiani.
Gli aumenti dunque partiranno da luglio 2023 e ma ai pensionati verranno corrisposti importi più alti con arretrati e nel mese di Luglio 2023 verranno erogate anche le quattordicesime. L’aumento è stato pensato per fronteggiare la  necessità di contrastare l’aumento del tasso di inflazione che ha raggiunto nei mesi scorsi cifre record, ossia l’11,6%. Infatti gli importi aumenteranno per i titolari di prestazioni pensionistiche minime cioè per coloro che allo stato attuale percepiscono 563,74 euro mensili.

Secondo quando comunicato dall’INPS l’aumento è concesso da gennaio a dicembre 2024 e sarà dell’1,5% per le pensioni di importo pari o inferiori al trattamento minimo INPS per il 2023, e del 2,7% nel 2024. Per gli gli over 75 l’aumento per il 2023 sarà del 6,4%.

PENSIONE, GLI IMPORTI OGGETTO DELL'AUMENTO

Vi ricordiamo che l’aumento degli importi dei trattamenti pensionistici non spetta a tutti ma solo a coloro che allo stato attuale percepiscono l’assegno minimo cioè 563,74 euro, o cifre più basse. Nello specifico per gli over 75 si attende un aumento fino a 600 euro.
La circolare INPS del 3 aprile 2023 prevede dunque per i beneficiari over un aumento di 36,08 euro al mese a partire dal 1 luglio. Per coloro che ricevono la pensione minima dunque l’importo dell’assegno sale a 599,82 euro al mese. Per coloro che hanno un’età anagrafica inferiore ai 75 anni, invece, l’aumento è più contenuto. Si attesterà cioè intorno all’1,5% con un aumento degli importi da 563,74 a 572,20 euro, che in sintesi significa 8 euro in più.
L’assegno di luglio sarà particolarmente alto perchè l’INPS pagherà anche gli arretrati calcolati a partire da gennaio e la quattordicesima. Quest’ultima è una somma aggiuntiva che spetta a chi ha almeno 64 anni e un reddito complessivo fino a un massimo di 1,5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti fino al 2016 e fino a 2 volte il trattamento minimo annuo del Fondo lavoratori dipendenti dal 2017.

IN SINTESI, SU OGNI 100 EURO DI PENSIONE

  • Un pensionato under 75 avrà aumento di 1,50 euro;
  • un pensionato over 75 avrà aumento di 6,40 euro;
  • gli arretrati calcolati sui sei mesi per gli under 74 saranno di 9 euro;
  • gli arretrati calcolati sui sei mesi per gli over 75 saranno di 38.40 euro.

Per effetto della progressione gli importi spettanti saranno per coloro che hanno un reddito fino a 1,5 volte la pensione minima Inps:

  • 437 euro per una contribuzione versata inferiore a 15 anni (che salgono a 18 anni per gli autonomi);
  • 546 euro per contributi compresi tra 15 e 25 anni (fra i 18 e i 28 anni per gli autonomi);
  • 655 euro per chi possiede contributi superiori a 25 anni (28 anni per gli autonomi).

Se il reddito annuale risulta tra 1,5 volte e 2 volte il trattamento minimo Inps i nuovi importi saranno:

  • 336 euro con contributi inferiori a 15 anni (che salgono a 18 anni per gli autonomi);
  • 420 euro con contributi compresi tra 15 e 25 anni (18 e 28 anni per gli autonomi);
  • 504 euro con contributi superiori a 25 anni (28 anni per gli autonomi).

BONUS PARTITE IVA O ISCRO 2023

Che cos’è il bonus Iscro 2023?

Il Bonus Partite Iva o ISCRO (Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa) è stato emanato in via sperimentale per il triennio dal 2021 al 2023 e sarà erogato per 6 mesi ai possessori di Partita Iva.

È stato introdotto dal Governo con la Legge di Bilancio 2021 ed è a tutti gli effetti un ammortizzatore sociale rivolto ai lavoratori autonomi in possesso di una partita Iva; i dettagli normativi sono regolati dalla circolare INPS n. 94 del 30 giugno 2021.  Viene riconosciuta direttamente a quanti presentano una apposita domanda di accesso.

I diretti interessati possono ricevere un contributo variabile, e il contributo si può chiedere fino al 31 ottobre 2023, al servizio online INPS. L’erogazione dell’indennità viene corrisposta per sei mesi, a partire dal primo giorno del mese successivo a quando si presenta la domanda di accesso, e non è soggetta a Irpef. E’ un contributo mensile, che parte da un minimo di 254,75 € ad un massimo di 881,23 € per l’anno 2023, dedicato esclusivamente ai titolari di Partita Iva in possesso di determinati requisiti, dunque pari al 25%, su base semestrale (6 mesi), dell’ultimo reddito da lavoro autonomo certificato dall’Agenzia delle Entrate.

Quindi, se un lavoratore con Partita Iva ha dichiarato un reddito pari a 5.000 € nel 2020, dovrà dividere questa cifra per 2 per calcolare i guadagni semestrali, cioè 2.500 €. Da questa cifra, dovrà poi calcolare il 25%: l’importo spettante, quindi, è di 625 € mensili per 6 mesi (2.500 x 25% = 625). Se, invece, una volta inoltrata la domanda per il bonus Partite Iva all’Agenzia delle Entrate non risulta nessun reddito accumulato da lavoro autonomo nei quattro anni precedenti, la domanda non sarà accolta. Ad esempio, se l’anno di presentazione della domanda ISCRO è il 2021, all’Agenzia delle Entrate devono risultare i redditi degli anni 2017, 2018, 2019, 2020. I beneficiari sono tutti i liberi professionisti, compresi i partecipanti agli studi associati o società semplici, iscritti alla Gestione Separata INPS. Di seguito i requisiti necessari per presentare domanda.

Quali sono i requisiti?

I requisiti necessari per richiedere il bonus Partita Iva o ISCRO 2023, da possedere tutti insieme al momento della presentazione della domanda, sono:

  • essere iscritto alla Gestione Separata INPS;
  • essere titolare di Partita Iva attiva da almeno 4 anni, per l’attività che ha dato titolo all’iscrizione alla gestione previdenziale in corso;
  • non percepire il Reddito di Cittadinanza (RDC);
  • non percepire nessun trattamento pensionistico o prestazione legata al reddito, come NASpI e DIS-COLL;
  • il reddito accumulato dal lavoro autonomo deve essere inferiore almeno del 50% rispetto alla media del reddito da lavoro autonomo degli ultimi 3 anni. Ad esempio, per l’anno 2022, il reddito da considerare è quello percepito nell’anno 2021, che deve essere inferiore al 50% della media dei redditi percepiti negli anni 2018, 2019 e 2020;
  • aver dichiarato, nell’anno precedente alla presentazione della domanda per il 2023, un limite di reddito non superiore a 8.972,04 € per l’anno 2022;
  • essere in regola con i versamenti dei contributi previdenziali.

Nel presentare la domanda i richiedenti, che possiedono i requisiti necessari sopra elencati, dovranno autocertificare i redditi prodotti, per ogni anno di interesse, sempre che l’Inps non li abbia già a disposizione.

Come presentare la domanda

La domanda per il bonus Partite Iva o ISCRO 2023 può essere richiesta dal 1° maggio al 31 ottobre di ogni anno dal 2021 al 2023 accedendo, con le proprie credenziali, sul sito INPS in “Indennità per lavori autonomi ISCRO: domanda online “. Una volta nella pagina INPS, si dovrà cliccare su “servizi online” e seguire la procedura all’interno del sito.

L’accesso può avvenire tramite:

  • Carta d’identità elettronica 3.0 (CIE); 
  • Carta nazionale dei servizi (CNS);
  • SPID di livello 2 o superiore.
  • In alternativa, si può effettuare la procedura di richiesta chiamando il Contact Center INPS al numero verde 803 164 da rete fissa o al numero 06164164 da rete mobile. Non potranno accedere al bonus Partite Iva o ISCRO per il 2023 coloro che lo hanno già ottenuto per il 2022. La domanda di indennità ISCRO per l’anno 2023 potrà, quindi, essere presentata solo da coloro che non la hanno presentata per l’anno 2022 e perciò non ne hanno ancora beneficiato. Inoltre ci si può rivolgere a CAF e intermediari autorizzati, per riceve assistenza da esperti che possono presentare la domanda per nome e per conto del richiedente.

Decadenza ISCRO 2023

L’INPS, nella circolare n. 94/2021, elenca le condizioni che possono far decadere il beneficio del bonus ISCRO, ovvero se:

  • la Partita Iva viene chiusa mentre si riceve ancora l’indennità;
  • si diventa titolari di trattamenti pensionistici, prestazioni legate al reddito o Reddito di Cittadinanza (RDC);
  • il richiedente del bonus partita iva si iscrive ad altri enti previdenziali obbligatori.

Nel caso si verifichi una delle condizioni appena citate, il diritto al bonus verrà perso e sarà anche necessario restituire all’ente INPS tutte le mensilità ricevute dopo il decadimento dei requisiti. Inoltre, la richiesta per ottenere il bonus ISCRO non può essere accolta se non risulta comunicata la dichiarazione dei redditi certificata all’Agenzia delle Entrate nei 4 anni precedenti a quello di presentazione della domanda.

BONUS INTERNET VELOCE

Il Ministero dello Sviluppo economico ha previsto un voucher per incentivare la digitalizzazione delle imprese, attraverso contributi economici per acquistare abbonamenti internet ultraveloci. L’incentivo è partito dal primo marzo scorso e potrà essere richiesto entro il 31 dicembre 2023.

Ha cambiato più volte forma, ma nel 2023 è stato confermato il Bonus internet e PC con l’operatore TIM. Le famiglie sotto una certa soglia di ISEE, infatti, possono richiedere il bonus, che consiste in un’offerta di internet con fibra ottica e un tablet a un prezzo agevolato e rateizzato. Grazie a questo incentivo, sempre più persone potranno essere dotate di connettività internet, raggiungendo l’obiettivo di digitalizzazione posto dallo Stato.

Il bonus Internet è stato approvato dalla Commissione europea e dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, come proroga del sussidio già in vigore nel 2022.

Il contributo è destinato alle piccole e medie imprese e alle persone fisiche titolari di Partita IVA che svolgano lavori di tipo intellettuale.

Il beneficio economico mira all’attivazione di un servizio di connessione a Internet a banda larga: viene applicato sotto forma di sconto diretto sul prezzo del canone mensile e sarà valido fino al 31 dicembre 2023.

Bonus Internet 2023: cos’è

Il bonus Internet 2023 è un contributo a favore della digitalizzazione delle piccole e medie imprese italiane, oltre che dei titolari di Partita IVA. Il Governo ha messo a disposizione dei richiedenti 430 milioni di euro.

Il beneficio viene applicato sotto forma di sconto, corrisposto tramite dei voucher, fino a quando le risorse non saranno esaurite. I singoli voucher, di tipo A, B e C, variano in relazione alla durata e alla velocità di connessione. Il voucher A può essere di tipo A1 e A2.

I fondi stanziati saranno suddivisi nel seguente modo:

  • 15% ai voucher A;
  • 20% ai voucher B;
  • 65% ai voucher C.

Come funziona

TIPO DI VOUCHER

Voucher A1

CARATTERISTICHE E IMPORTO

Importo: 300 euro
Durata: 18 mesi
Velocità di connessione: passaggio a una rate che abbia una velocità nominale massima in download tra i 30 e i 300 Mega

Voucher A2

Importo: 300 euro
Durata: 18 mesi
Velocità di connessione: passaggio a una rate che abbia una velocità nominale massima in download tra i 300 Mega e 1 Giga

Per le connessioni con velocità pari a 1 Giga, si potranno ricevere ulteriori 500 euro qualora si debbano sostenere i costi di allaccio alla rete

Voucher B 
(requisito: banda minima garantita di 30 Mega in download)

Importo: 500 euro
Durata: 18 mesi
Velocità di connessione: passaggio a una rate che abbia una velocità nominale massima in download tra i 300 Mega e 1 Giga

Per le connessioni con velocità pari a 1 Giga, si potranno ricevere ulteriori 500 euro qualora si debbano sostenere i costi di allaccio alla rete

Voucher C

(requisito: banda minima garantita di 100 Mega in download)

Importo: 2.000 euro
Durata: 24 mesi
Velocità di connessione: passaggio a una rete che abbia una velocità nominale massima in download superiore a 1 Giga

Per le connessioni con velocità pari a 1 Giga, si potranno ricevere ulteriori 500 euro qualora si debbano sostenere i costi di allaccio alla rete

Chi ne può fare richiesta

Fino al 31 dicembre 2023, potranno richiedere il bonus Internet:

  • le micro, piccole e medie imprese;
  • le persone fisiche con partita IVA, che si occupino di attività di tipo intellettuale, per le quali è indispensabile l’accesso alla rete, e siano regolarmente iscritte ad un Albo.

Ne potranno fare richiesta anche le persone fisiche con partita IVA che svolgano una professione non organizzata, quindi anche in assenza di un albo.

Possono richiedere il Bonus internet tutte le famiglie con una certificazione ISEE in corso di validità pari o inferiore a 20.000 euro.

L’offerta del Bonus internet famiglie 2023 può essere attivata entro il 24 giugno 2023.

Come funziona il Bonus internet per privati

Il Bonus internet prevede l’attivazione del piano TIM WiFi Special Famiglia a un prezzo speciale pari a 21,90 euro al mese, con domiciliazione conto online.

La durata di questa offerta è di 24 mesirinnovabili in automatico a tempo indeterminato. Tuttavia, in caso di non veridicità del reddito dichiarato, verrà richiesto il rimborso e applicata la tariffa piena. Il canone senza l’offerta è di 24,90 euro al mese.

Importante

Questo bonus è soggetto ad adeguamento annuale dei prezzi. Infatti, a partire dal 1º aprile 2024 il canone mensile verrà incrementato a seconda dell’indice di inflazione (IPCA) rilevato dall’ISTAT.

Cosa include l’offerta?

TIM consente alle famiglie di beneficiare del Bonus internet a 29,90 euro al mese. Questa offerta, nello specifico, include:

  • TIM WiFi Special Famigliaa 21,90 euro al mese;
  • un Samsung Galaxy Tab A8 LTE a 8 euro al mese per 30 mesi;
  • linea telefonica a casacon chiamate a consumo verso tutti i fissi e mobili nazionali, a 19 centesimi al minuto.

È previsto anche un costo di attivazione dell’offerta, pari a 39,90 euro una tantum. Questa somma viene addebitata solo una volta, nella prima fattura utile.

L’offerta TIM WiFi Special Famiglia prevede tre diverse tecnologie, che prevedono tre diverse velocità a seconda della copertura disponibile per il cliente. Tutti gli utenti possono verificare la copertura nella propria zona .

Le tre offerte disponibili sono:

  • Fibra: se è in copertura FTTH, è disponibile la connessione Fibra fino a 2,5 Gbps in download e 1 Gbps in upload
  • Mega: se è in copertura FTTC, si attiva l’offerta con Internet fino a 200/20 Mbps o fino a 100/20 Mbps in copertura FTTE;
  • ADSL: se è in copertura ADSL, si attiva l’offerta con connessione fino a 20 Mbps in download e fino a 1 Mbps in upload.

Inoltre, per migliorare la connessione in termini di copertura e velocità della rete internet, è possibile aggiungere all’offerta il Modem TIM HUB+ con WiFi 6. Il costo di questo modem è di 5 euro al mese per 48 mesi ed è opzionale.

L’offerta è subordinata all’acquisto contestuale del PC portatile sopra indicato. Infatti, non si può beneficiare dell’offerta WiFi senza l’acquisto del computer in questione.

Quando scade?

L’offerta del Bonus internet famiglie 2023 può essere attivata entro il 24 giugno 2023. Dopo tale data non sarà più possibile beneficiare del prezzo agevolato, salve ulteriori proroghe.

È possibile recedere in qualsiasi momento dal Bonus internet e PC. tuttavia, se il recesso avviene nei primi 24 mesi dall’attivazione dell’offerta, vengono applicati i seguenti costi di disattivazione:

  • 30 euro, in caso di disattivazione della linea;
  • 5 euro, in caso di passaggio ad un altro operatore.

Invece, in caso di recessi successivamente ai primi 24 mesi, nessun costo viene applicato. Tuttavia, anche in caso di recesso dall’offerta TIM WiFi Special Famiglia, è necessario continuare a pagare le rate del PC portatile, fino alla sua scadenza. In alternativa, è possibile saldare in un’unica soluzione le rate residue.

Step per attivare il Bonus internet 2023:

  • Verificare la copertura della connessione internet nella propria zona
  • Registrarsi o fare login sul sito web di TIM
  • Acquistare l’offerta inclusa nel Bonus internet, con domiciliazione bancaria
  • Prendere appuntamento con un tecnico per l’installazione del modem

CARTA DEDICATA A TE

Cos’è, come funziona e a chi spetta la carta “Dedicata a te” varata dal governo per aiutare le famiglie, disponibile dal 18 luglio 2023.

La carta dedicata a te è una delle ultime novità, che giungono dal mondo delle istituzioni, per dare una mano a cittadini e famiglie alle prese con la morsa dell’inflazione e il carovita che si sta facendo sentire in particolare nei supermercati. Infatti, la legge di Bilancio 2023 (legge 197/2022) ha istituito, nello stato di previsione del ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, un fondo destinato all’acquisito di beni alimentari di prima necessità da parte dei soggetti in possesso di un indicatore della situazione economica equivalente (Isee) non superiore a 15mila euro. Con un decreto successivo (18 aprile 2023, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 110 del 12 maggio) sono stati definiti i criteri di individuazione dei beneficiari del contributo economico. Detta iniziativa solidale è una risoluzione con un contributo una tantum di 382,50€ da spendere, come già detto in precedenza, in generi alimentari di prima necessità entro il 31 dicembre 2023.

A beneficiare della carta Dedicata a te sono i cittadini appartenenti ai nuclei familiari composti da almeno tre persone, residenti nel territorio italiano. I requisiti richiesti sono:

  • iscrizione all’Anagrafe
  • ISEE non superiore a 15.000 euro

Il nucleo familiare rilevato ai fini dell’assegnazione del beneficio è quello attestato nella Dichiarazione sostitutiva unica (DSU), riportata nella relativa attestazione ISEE ordinario, presente nelle banche dati dell’INPS alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto (12 maggio 2023). Tutti i componenti del nucleo della DSU devono, inoltre, essere presenti nell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR).   La carta spetta ai nuclei familiari con almeno tre persone. La carta, inoltre, non spetta ai single disoccupati oppure alle coppie che non hanno figli.

I beneficiari sono individuati in base a un ordine di priorità decrescente:

  • nuclei familiari, composti da non meno di tre componenti, di cui almeno uno nato entro il 31 dicembre 2009, con priorità ai nuclei con indicatore ISEE più basso
  • nuclei familiari, composti da non meno di tre componenti, di cui almeno uno nato entro il 31 dicembre 2005, con priorità ai nuclei con indicatore ISEE più basso
  • nuclei familiari composti da non meno di tre componenti, con priorità ai nuclei con indicatore ISEE più basso.

Se non si possiede un ISEE ordinario alla data del 12 maggio 2023, non si ha diritto alla carta, anche si hanno i requisiti (ossia almeno tre in famiglia e ISEE non maggiore di 15.000). Se quindi non si è compilata la DSU e non è fatto l’ISEE, si è automaticamente esclusi dal beneficio

Come richiedere la carta Dedicata a te, dove ritirarla e come attivarla

Per ottenere il contributo, non è necessario presentare domanda, i beneficiari della carta ‘Dedicata a te ‘ vengono infatti individuati dall’INPS e dai Comuni.​ Sono questi ultimi a comunicare agli interessati l’assegnazione del beneficio e le modalità di ritiro delle carte presso tutti gli Uffici Postali.​Per effettuare il ritiro è necessario presentare la suddetta comunicazione, un documento d’identità in corso di validità e il codice fiscale. Dunque, come già accennato, non bisogna fare alcuna domanda per ricevere la carta dedicata a te, fa tutto in automatico il Comune: tramite i controlli incrociati, individua le famiglie con almeno tre persone e con un ISEE non maggiore di 15.000 euro. Se quindi si rientra tra i beneficiari, direttamente il comune invia una comunicazione a casa: con questa lettera bisogna recarsi presso un ufficio postale per ritirare la carta, su si trovano subito i 382,50 euro. Il comune stila una graduatoria, assegnando delle priorità:

  1. Nuclei con componenti nati dal 2009 in poi;
  2. Famiglie con ISEE più basso;
  3. Famiglie numerose, con più di tre componenti.

Per attivare la carta è necessario effettuare un primo pagamento entro il 15 settembre 2023. La carta ‘Dedicata a te ‘ funziona come una normale carta di pagamento elettronica, nei limiti previsti dalla normativa di riferimento. È importante sapere che la mancata attivazione entro la data indicata comporterà l’annullamento del contributo. Le carte saranno operative a partire dal mese di luglio 2023: per attivarle è necessario effettuare un primo pagamento con la carta assegnata entro il 15 settembre2023. 
Nota bene: la mancata attivazione entro il 15 settembre 2023 comporta la non fruibilità della carta e la conseguente decadenza dal contributo. La carta può essere ritirata dal solo beneficiario, salvo possibilità di delega effettuata ai sensi delle disposizioni vigenti, utilizzando gli appositi modelli distribuiti da Poste Italiane. Il saldo residuo può essere visualizzato presso gli sportelli ATM di Poste Italiane.

Dove può essere utilizzata la carta Dedicata a te

Premesso che la carta può essere utilizzata esclusivamente per l’acquisto di beni alimentari di prima necessità, si può utilizzare nei supermercati e nei negozi alimentari abilitati al circuito Mastercard e che possiedono i requisiti previsti dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Esiste, inoltre un ulteriore sconto del 15% per i titolari della carta presso gli esercizi aderenti alla promozione della misura, appartenenti alla Grande Distribuzione Organizzata e non solo.
La lista delle Associazioni aderenti alla promozione della misura, e degli esercizi commerciali che applicano la scontistica del 15%, è consultabile alla seguente sezione del sito web  

La carta dura entro il limite dei 380 euro: una volta finiti i 380 euro, una volta consumati, al momento non è prevista una nuova ricarica. Il contributo è infatti una tantum, non mensile: lo ricevi solo una volta.

Esclusione dalla carta Dedicata a te

Non possono beneficiare della carta ‘ Dedicata a te ‘ i nuclei familiari che includano titolari di:

  • reddito di cittadinanza
  • reddito di inclusione (qualsiasi altra misura di inclusione sociale o sostegno alla povertà)

Inoltre, il contributo non è erogabile ai nuclei familiari nei quali almeno un componente sia percettore di:

  • nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASPI e indennità sociale di disoccupazione per i collaboratori DIS-COLL)
  • indennità di mobilità
  • fondi di solidarietà per l’integrazione del reddito
  • cassa integrazione guadagni
  • qualsiasi altra forma di integrazione salariale per disoccupazione involontaria erogata dallo Stato

BONUS TRASPORTI

Ritorna il Bonus trasporti con la formula “click day”, le domande potranno essere fatte a partire dalle 8 di mattina del primo settembre.

Apertura delle Richieste del bonus trasporti: 1° SETTEMBRE

A partire dalle ore 8 del 1° settembre, è possibile presentare nuove richieste per il Bonus Trasporti da 60 euro.

Questa è un’opportunità per coloro che non hanno avuto la possibilità di farlo durante la prima fase di assegnazione. Dopo una chiusura temporanea a causa dei fondi esauriti, questa nuova finestra offre una seconda possibilità per ottenere il bonus.

CHE COS’E’ IL BONUS TRASPORTI E COME RICHIEDERLO

E’ un’agevolazione per l’acquisto di un abbonamento annuale, mensile o relativo a più mensilità, ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale, interregionale ovvero di trasporto ferroviario nazionale, ad esclusione, in tale ultimo caso, dei servizi di prima classe, executive, business, club executive, salotto, premium, working area e business salottino.

Il Bonus trasporti è utilizzabile per l’acquisto di servizi di trasporto pubblico interregionale, regionale e locale, oltre all’acquisto di servizi del trasporto ferroviario nazionale.

Per richiedere il Bonus trasporti è necessario collegarsi all’apposita piattaforma  disponibile all’indirizzo bonustrasporti.lavoro.gov.it. allestita dal ministero del Lavoro e dei Trasporti e accedere mediante Spid o Cie. Dopo avere inserito i dati richiesti viene emesso il voucher che dovrà essere consegnato o comunicato al gestore del servizio pubblico al momento in cui si sottoscrive un abbonamento, sarà quest’ultimo a farsi carico di convertire il buono.

CHI PUO’ RICHIEDERE IL BONUS TRASPORTI

Il Bonus trasporti è dedicato a chi ha un reddito lordo annuo inferiore ai 20mila euro e consta di un voucher del valore di 60 euro da destinare all’acquisto di abbonamenti annuali, mensili ma anche validi per più mesi.  Il governo Meloni ha ristretto le maglie dei beneficiari: prima la soglia di reddito per avere l’agevolazione era fissata a 35mila euro. La cifra che viene ottenuta attraverso l’emissione di un voucher è fino a 60 euro, per acquistare un abbonamento annuale o mensile al trasporto pubblico. Il bonus in questione è richiedibile soltanto una volta al mese da un singolo beneficiario.

Il periodo di validità del buono è limitato al mese solare di emissione, anche se si effettua l’acquisto di un abbonamento annuale o mensile che parte dal mese successivo. Il contributo si può chiedere per sé o per un minorenne a carico. È possibile ottenere l’incentivo di 60 euro, dedicato a studenti, lavoratori, pensionati e cittadini con un reddito complessivo non superiore a 20mila euro, fino a esaurimento della dotazione finanziaria iniziale.

Con l’incentivo è possibile acquistare abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico: il buono è nominativo ed è utilizzabile per l’acquisto di un solo abbonamento annuale o mensile di trasporto pubblico locale, regionale, interregionale o di trasporto ferroviario nazionale.

Ogni richiedente può godere di un solo bonus al mese e, fondi permettendo, la richiesta può essere iterata nel tempo. Va sottolineato che il periodo di validità coincide con il mese solare durante il quale il voucher è stato emesso, anche nel caso in cui si acquistasse un abbonamento parte dal mese successivo.

Il valore del buono non può superare l’importo di 60 euro. E verrà determinato dall’importo dell’abbonamento annuale o mensile che si intende acquistare. Il buono è valido per l’acquisto di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale o ancora per i servizi di trasporto ferroviario nazionale. Non è cedibile e non incide nel calcolo dell’ISEE.

OBIETTIVO DEL BONUS TRASPORTI

L’obiettivo principale del Bonus Trasporti da 60 euro è alleviare l’onere delle spese di trasporto e incoraggiare l’utilizzo dei mezzi pubblici per contribuire alla sostenibilità ambientale. Questo incentivo può essere utilizzato per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale, interregionale e ferroviario nazionale. Tuttavia, va notato che non è applicabile ai servizi di fascia superiore, come la prima classe o servizi premium.

Detrazione Fiscale e Prossime Scadenze

Un aspetto interessante è che la spesa per l’abbonamento può essere detratta dalle tasse (Irpef) al 19% della spesa, fino a un massimo di 250 euro.

Ciò significa che oltre al bonus iniziale, è possibile ottenere ulteriori vantaggi fiscali. Ad esempio, se si utilizza il bonus per un abbonamento dal valore di 300 euro e si è già scontato il contributo da 60 euro, la detrazione fiscale verrà applicata sui 240 euro rimanenti, permettendo un recupero fiscale di circa 45 euro.

In conclusione, il Bonus Trasporti da 60 euro rappresenta un’opportunità da cogliere per alleggerire le spese di trasporto quotidiano. Con le nuove richieste aperte, il “clic day” del 1° settembre offre la possibilità di accaparrarsi questo incentivo prezioso.

Questa iniziativa mira a supportare chi dipende dai trasporti pubblici per raggiungere la scuola o il lavoro, contribuendo anche alla sostenibilità ambientale.

COME CAMBIA IL REDDITO DI CITTADINANZA: L’ASSEGNO DI INCLUSIONE

La legge di bilancio 2023  (L 197 del 29.12.2022) ha modificato in senso restrittivo il reddito di cittadinanza.
Il Reddito di cittadinanza cambia nome e prevederà nuove disposizioni normative a sostegno dei nuclei familiari più deboli. Il governo Meloni ha deciso di riformulare il sussidio di Stato necessario per il reinserimento lavorativo e sociale. I nuovi provvedimenti sono rivolti ai cittadini che si trovano in situazione di povertà per dare loro un sostegno economico.
A tale proposito, lo scorso 4 maggio è stato pubblicato il decreto Lavoro che prevede l’abolizione del reddito di cittadinanza a favore di due nuove misure: l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro.
Si prevede in particolare che  per il 2023  per i percettori  che possono lavorare   il sostegno economico sia  riconosciuto per un massimo di sette mesi. 
La novità dal punto di vista finanziario comporta un risparmio di spesa di circa 950 milioni di euro per il 2023 , mentre si confermano gli stanziamenti della legge di bilancio 2020 per gli anni successivi,  in vista dei nuovi strumenti che sostituiranno il Reddito di cittadinanza:

  • Supporto per la formazione e il lavoro 
  • Assegno di inclusione 

istituiti dal recente Decreto Lavoro 48 2023. Rubricato “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”.
Sono diverse le disposizioni adottate in materia di lavoro presenti nel pacchetto di misure del decreto, come la disciplina dell’Assegno di inclusione, il nuovo strumento che sostituirà il reddito di cittadinanza. La nuova legge stabilisce anche l’introduzione della disposizione per il Supporto per la formazione e il lavoro. Oltre a ciò, è previsto il nuovo taglio del cuneo fiscale che porterà aumenti nelle buste paga dei lavoratori con redditi fino a 35mila euro.
Inoltre sono previsti nuovi bonus assunzione e nuove misure per le famiglie, come la maggiorazione per l’assegno unico e l’aumento della soglia dei fringe benefit per i lavoratori dipendenti con figli. Si tratta dei cosiddetti “benefici accessori” come i buoni pasto, i prestiti agevolati e le borse di studio.

Reddito di cittadinanza 2023: la durata cambia

A norma dell’art . 1 commi  313 321,   la durata massima dell’erogazione del contributo economico del Reddito di cittadinanza  dal 1 gennaio 2023  diventa  di 7 mesi , ordinariamente.

Fanno eccezione, cioè la durata massima resta di 18 mesi,  solo per i nuclei familiari

  • con minori
  • con persone disabili (come definite dal DPCM del 5 dicembre 2013, n. 159)
  • con persone di età pari o superiore ai 60 anni.

Lo stop non riguarda quindi la Pensione di cittadinanza.

Reddito di cittadinanza e obblighi per gli occupabili

A decorrere dal 1° gennaio 2023,  i soggetti  occupabili  (dai 18 ai 59 anni):

  • devono essere inseriti, per un periodo di sei mesi, in un corso di formazione e/o di riqualificazione professionale In caso di mancata frequenza al programma assegnato il nucleo del beneficiario del reddito di cittadinanza decade dal diritto alla prestazione. Le regioni sono tenute a trasmettere all’Anpal gli elenchi dei soggetti che non rispettano l’obbligo di frequenza.
  • per i beneficiari compresi nella fascia di età dai 18 ai 29 anni che non hanno adempiuto all’obbligo scolastico, l’erogazione del Reddito è subordinata all’iscrizione e alla frequenza di percorsi di istruzione di primo livello.
  • tutti i percettori di Rdc residenti nel Comune debbono essere impiegati in progetti utili alla collettività (non più soltanto un terzo di essi).
  • Nel caso di stipula di contratti di lavoro stagionale o intermittente il maggior reddito da lavoro percepito, entro il limite massimo di 3.000 euro lordi, non influisce sull’importo del Reddito di cittadinanza. Vanno quindi comunicati all’Inps solo  i redditi eccedenti tale limite massimo .
  • Il contributo economico cessa se il percettore  non accetta la prima offerta di lavoro (è abolita la definizione di offerta di lavoro “congrua”)

Il disegno di legge abroga  anche gli articoli riferiti al patto per il lavoro e di inclusione sociale che prevedeva l’intervento dei Centri per l’impiego e dei servizi sociali dei Comuni per predisporre le misure di reinserimento lavorativo e sociale, mai effettivamente decollate. 

Reddito di cittadinanza 2023: novità per gli importi

La legge di bilancio prevede inoltre che:

  • la componente del reddito  di cittadinanza corrispondente  al canone annuo di affitto viene erogata direttamente al locatore dell’immobile.  Si attendeva un apposito decreto del Ministro del lavoro  entro il 2 marzo 2023 per la definizione delle modalità di attuazione, ancora in stand by.
  • Nel caso di stipula di contratti di lavoro stagionale o intermittente il maggior reddito da lavoro percepito non concorre alla determinazione del beneficio, se rientra nel limite massimo di 3.000 euro lordi. I redditi eccedenti tale limite andranno  ancora comunicati all’INPS.

Infine si segnala  che ai datori di lavoro privati che nel 2023 assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato beneficiari del Rdc,  è riconosciuto l’esonero dal versamento  del 100% dei contributi previdenziali a loro carico.

Per il resto, le modalità di accesso, ISEE,  calcolo degli importi  e  pagamento non sono modificati.

Reddito di cittadinanza, lo stop: Assegno di inclusione e Supporto per il lavoro

Come detto la legge 197 2022  ha previsto nel 2024 l’abolizione  sul  reddito di cittadinanza per tutti i beneficiari. 

Per le famiglie più in difficoltà  in cui vi siano componenti che non possono lavorare  il decreto lavoro 48 del 4 maggio 2023 mette in campo , in sostituzione, a partire da 1  gennaio 2024 il nuovo “Assegno di inclusione” ( molto simile al RDC) con la sostanziale differenza che riguarda solo i nuclei in cui siano presenti

  •  minori
  • disabili
  • over 60

con obblighi di formazione e lavoro per i componenti “occupabili” e contributo economico commisurato alle caratteristiche della famiglia.

Nel contempo  a partire dal 1 settembre 2023  sarà in vigore il nuovo strumento chiamato ” Supporto per la formazione e il lavoro”  indirizzato ai soggetti  tra i 18 e i 59 anni

  • che fanno parte di  nuclei familiari  diversi da quelli sopracitati  
  • con ISEE familiare non superiore a 6mila euro annui

Si tratta di misura di attivazione al lavoro che prevede la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro ( tra i quali rientrano anche il servizio civile universale e i lavori socialmente utili. Comprende un contributo fisso di 350 euro mensile per un massimo di 12 mesi.

La partecipazione ad entrambe misure andrà richiesta in via telematica e prevede la firma della DID dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e di un Patto per il lavoro.

L’Assegno di inclusione e il bonus per Supporto formazione lavoro non saranno tra loro cumulabili.

Assegno di inclusione

L’Assegno di inclusione entrerà in vigore da gennaio 2024 e sarà dedicato ai nuclei familiari in cui ci sono persone disabili, minori o anziani con più di 60 anni a carico. Coloro che attualmente percepiscono il Reddito di Cittadinanza possono continuare a riceverlo fino al 31 dicembre 2023, quando cesserà di esistere. L’Assegno è un sostegno continuativo, viene erogato fino a che permane la necessità e viene definito nella norma come la “misura nazionale di contrasto alla povertà”.

I componenti del nucleo familiare tra i 18 e i 59 anni occupabili, che non rientrano nella categoria fragili, devono intraprendere un percorso di inserimento lavorativo registrandosi presso il nuovo sistema informativo gestito dai Centri per l’Impiego, sia per la ricerca del lavoro sia per le attività di orientamento.

Se l’iscrizione non avverrà, scatterà la revoca del sussidio a tutto il nucleo familiare. La stessa cosa accadrà se rifiuteranno anche solo una volta un’offerta di lavoro sia a tempo indeterminato, full time o part time a qualsiasi distanza, con stipendio in linea con i Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro mentre a tempo determinato entro 80 km dalla residenza. Quando il contratto di lavoro si concluderà, il cittadino può tornare a ricevere l’aiuto statale. 

L’Assegno di inclusione “è una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa” si legge nella bozza del decreto.

Mentre il RdC ha suscitato numerose polemiche negli anni, soprattutto a causa di abusi e frodi, l’assegno di inclusione si propone come una revisione profonda e mirata per favorire l’inserimento lavorativo delle persone disoccupate.

Il Decreto Lavoro, pubblicato il 4 maggio 2023 in Gazzetta Ufficiale, istituisce l’assegno di inclusione a partire dal 1° gennaio 2024 come misura nazionale di contrasto alla povertà, fragilità ed esclusione sociale delle fasce deboli.

Il suo obiettivo è offrire percorsi di inserimento sociale, formazione, lavoro e politiche attive del lavoro.

L’assegno di inclusione presenta caratteristiche differenziate in base alla condizione di “occupabilità” dei beneficiari.

Coloro che sono considerati in grado di lavorare dovranno partecipare a politiche attive del lavoro e perderanno il beneficio in caso di rifiuto di un’offerta di lavoro.

D’altra parte, i nuclei familiari con componenti over 60, minori o persone con disabilità, che soddisfano specifici requisiti legati alla cittadinanza, al soggiorno in Italia, alle condizioni economiche e di residenza, potranno ricevere un assegno mensile non inferiore a 480 euro, esente dall’IRPEF, erogato dall’INPS attraverso un mezzo di pagamento elettronico.

Questo beneficio potrà essere erogato per un massimo di 18 mesi consecutivi, con la possibilità di un rinnovo per ulteriori 12 mesi.

L’assegno di inclusione è finalizzato non solo al sostegno economico, ma anche all’inclusione sociale e professionale dei beneficiari.

Sarà necessario superare un’analisi dei mezzi e aderire a un percorso personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa.

Per il calcolo degli importi dell’assegno, si seguirà una formula basata sulla scala di equivalenza, che presenta alcune differenze rispetto al reddito di cittadinanza.

Inoltre, l’assegno di inclusione può essere integrato con altre misure come l’assegno unico per figli a carico e il nuovo supporto per la formazione al lavoro.

Con l’assegno di inclusione, il governo Meloni mira a garantire un sostegno più efficace e mirato alle persone disoccupate, favorendo la loro inclusione sociale e professionale.

RIFORMA PENSIONI 2024 : LE ALTERNATIVE AL VAGLIO DEL GOVERNO MELONI

Il governo italiano si trova di fronte alla sfida di trovare una soluzione per la riforma delle pensioni una volta scaduta la cosiddetta Quota 103 il prossimo 31 dicembre 2023. L’obiettivo è evitare un ritorno alla Legge Fornero, che ha suscitato molte controversie nel passato. Tuttavia, l’idea di una Quota 41 per tutti, sembra essere attualmente un obiettivo difficile da raggiungere. Pertanto, potrebbe essere necessario proporre diverse opzioni per la pensione, tenendo conto delle diverse esigenze dei lavoratori e dei vincoli di bilancio che devono essere rispettati. Ecco quindi che si torna a parlare di quota 96, quota 41 (light) e quota 103.

Il governo per il 2024  sta pianificando misure tampone : La quota 103 verrà confermata, ma l’Opzione Donna sarà cancellata e sostituita dall’Ape Rosa, un programma di pensione pensato per le donne. Sarà confermato per un ulteriore anno la Quota 103.

Questa opzione di pensionamento anticipato è stata introdotta dal governo Draghi e consente di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Questa soluzione rappresenta la via più agevole per evitare il ritorno alla Legge Fornero e per posticipare l’implementazione diretta della Quota 41 per tutti, il quale al momento comporterebbe un onere finanziario troppo elevato per le finanze statali.

Quota 41 non verrà quindi introdotta, ma è possibile che venga presa in considerazione la possibilità di introdurre una versione “light” della Quota 41  per consentire il pensionamento anticipato. In questo scenario, la pensione verrebbe calcolata in maniera interamente contributiva, tenendo conto dell’intero periodo di contributi versati dal lavoratore. Tuttavia, con l’adozione di questa versione “light”, l’assegno pensionistico potrebbe subire un significativo taglio rispetto a quello che il lavoratore riceverebbe con i criteri di calcolo standard.

Infine sembrerebbe confermata l’eliminazione del programma Opzione Donna, che consentiva alle lavoratrici di andare in pensione in anticipo rispetto agli uomini. La versione del programma per il 2023 è stata criticata perché aveva limitato troppo il numero di beneficiari, e il governo non sembra intenzionato a fare marcia indietro, nonostante le richieste delle lavoratrici e dei sindacati.

L’Opzione Donna potrebbe esser sostituita da un nuovo programma denominato Ape Rosa. Questo programma prevede uno sconto contributivo per le donne che hanno figli (1 anno per figlio) e che hanno svolto lavori gravosi o si trovano in una situazione di bisogno. Resta invece viva l’Ape social per i lavori gravosi. 

Priorità

Garantire la flessibilità di uscita dal mondo del lavoro, mantenendo attiva l’opzione agevolata riservata alle donne e alle categorie svantaggiate con una uscita graduale da Quota 103: è l’obiettivo chiave per la Riforma Pensioni, da avviarsi con la Legge di Bilancio 2024 ma da completarsi nel corso dell’anno.

In cima alla lista delle priorità ci sono anche i giovani: l’esigenza è di assicurare un inserimento nel mondo del lavoro stabile, così da evitare carriere discontinue e stipendi bassi, con effetti sulle future pensioni. Da ripensare anche temi legati al reddito dei pensionati (14esima, rivalutazione assegni ecc.) e alla pensione complementare.

Riforma Pensioni Meloni: linee guida

L’obiettivo è arrivare ad una Riforma Pensioni condivisa, dopo le proroghe inserite nella Legge di Bilancio 2023 per quanto concerne APe Social ed Opzione Donna.

Garantire la flessibilità di uscita dal mondo del lavoro, mantenendo attiva l’opzione agevolata riservata alle donne e alle categorie svantaggiate con un’uscita graduale da Quota 103: è l’obiettivo chiave per la Riforma Pensioni, da avviarsi con la Legge di Bilancio 2024 ma da completarsi nel corso dell’anno.

In cima alla lista delle priorità ci sono anche i giovani: l’esigenza è di assicurare un inserimento nel mondo del lavoro stabile, così da evitare carriere discontinue e stipendi bassi, con effetti sulle future pensioni. Da ripensare anche temi legati al reddito dei pensionati (14esima, rivalutazione assegni ecc.) e alla pensione complementare.

Novità quota 96 per lavori usuranti

In questo contesto negli ultimi giorni si è tornati a parlare di quota 96. Questa soluzione che potrebbe essere presa in considerazione per il sistema pensionistico consentirebbe ai lavoratori di accedere a una pensione anticipata all’età di 60 anni, a condizione di aver accumulato almeno 35 anni di contributi. Tuttavia, anche in questo caso, sorge il problema dei costi, che si riproporrebbe come nel caso della Quota 41. Di conseguenza, i tecnici del Ministero del Lavoro stanno valutando l’introduzione di una serie di restrizioni al fine di limitare il numero di persone che potrebbero beneficiare di questa opzione.

L’uscita con quota 96, però, comporterebbe un’eventuale penalizzazione dell’importo mensile dell’assegno per coloro che scelgono di andare in pensione a 60 anni anziché ritirarsi a 67 anni. L’utilizzo della misura, inoltre potrebbe essere prevista soltanto per coloro che hanno svolto lavori usuranti o gravosi.

Quota 41 “light” o proroga di quota 103

Tra le altre opzioni prese in considerazione dal governo per la riforma delle pensioni, troviamo la variante più leggera di Quota 41, denominata “Quota 41 light“. Questo sistema consentirebbe ai lavoratori di andare in pensione dopo aver versato contributi per 41 anni, tuttavia comporterebbe un ricalcolo dell’assegno pensionistico basato completamente sui contributi versati.

La riduzione dell’età pensionabile sarebbe variabile a seconda della categoria di appartenenza e potrebbe oscillare tra i 10 e i 22 mesi. Tuttavia, va notato che ci sarebbe una decurtazione dell’assegno pensionistico compresa tra il 10% e il 16% rispetto all’importo che si otterrebbe secondo le attuali regole.

Infine, resta viva sul tavolo del Governo, la soluzione più semplice: la proroga per un anno dell’attuale Quota 103. Questo significherebbe che i lavoratori potrebbero ancora accedere alla pensione con un’età anagrafica di almeno 62 anni e un totale di 41 anni di contributi versati. La proroga di un anno darebbe al governo più tempo per negoziare con i sindacati al fine di raggiungere un accordo per una riforma strutturale delle pensioni. L’obiettivo finale sarebbe superare completamente la Legge Fornero, ma la strada da percorrere sembra ancora lunga.

I riflettori sono puntati sulla Quota 41. Nelle prime ipotesi si parla infatti di conferma di Quota 103 (62 di età + 41 anni di contributi) e APE Sociale, mentre sembra tramontare la speranza di un ritorno ai vecchi requisiti per l’Opzione Donna.

La volontà di Governo è una riforma basata sul sistema contributivo evitando distorsioni come quella degli esodati con conseguenze economiche e sociali su quelle che sono le pensioni oggi.

L’obiettivo è arrivare ad una Riforma Pensioni condivisa, dopo le proroghe inserite nella Legge di Bilancio 2023 per quanto concerne APe Social ed Opzione Donna.

Proroga Quota 103 con 41 anni di contributi

Tra le misure in prima linea per la Riforma Pensioni 2024 c’è la Quota 103, che permette di andare in pensione con 62 anni di età e 41 anni di contributi.

Con Quota 103  i lavoratori potranno andare in pensione con 62 anni d’età e 41 di contributi.

L’assegno pensionistico non potrà avere un importo superiore a 5 volte quello del trattamento minimo, finché non si matura il requisito standard dei 67 anni d’età.

Nel 2023 andrà in pensione chi è in possesso dei seguenti requisiti:

  • 62 anni d’età;
  • 41 anni di contributi.

Come specificato nella Legge di Bilancio 2023, gli iscritti a due o più gestioni previdenziali che non siano già titolari di trattamento pensionistico possono cumulare i periodi assicurativi non coincidenti nelle stesse gestioni amministrate dall’INPS in base alle regole previste dalla Legge n. 228 del 2012.

Viene prorogato, quindi, il vecchio regime ma con dei correttivi. Si supera così Quota 102, in vigore fino al 31 dicembre, che prevedeva la pensione con 64 anni d’età e 38 di contributi.

Chi ha maturato i nuovi requisiti previsti entro il 31 dicembre 2022 potrà ricevere la pensione a partire dal 1° aprile 2023 (1° agosto per i dipendenti pubblici). Chi, invece, li perfeziona dal 1° gennaio otterrà la prestazione trascorsi tre mesi dalla data di maturazione (sei mesi per gli statali).

Opzione Donna 2023

Nel 2023, l’Opzione Donna è concessa alle donne di 60 anni di età con 35 anni di contributi maturati entro il 2022 (un anno di età in meno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni di sconto). Tuttavia, bisogna anche rientrare in una specifica categoria:

  • lavoratrici licenziate o dipendenti di imprese con un tavolo di gestione della crisi aperto presso il Ministero,
  • caregiver familiari da almeno sei mesi,
  • con ridotta capacità lavorativa superiore o uguale al 74%.

 Prosegue il confronto tra governo e sindacati sulla riforma delle pensioni. Per mercoledì prossimo, 26 luglio, è fissato un nuovo tavolo tra le parti sociali e l’Osservatorio sul monitoraggio della spesa previdenziale. Tante le opzioni possibili per gli interventi da fare sulla previdenza con la prossima legge di Bilancio e nel 2024. L’obiettivo del governo Meloni è cancellare la legge Fornero, ma per farlo sono necessarie risorse al momento non reperite.

Si punta per ora a estendere l’attuale Quota 103 al 2024, ma potrebbe scattare anche l’opzione di Quota 41 contributiva. Con la prima si va già in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi, ma la misura scade a dicembre. Con la seconda si andrebbe in pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età, ma con l’assegno calcolato con il metodo contributivo (che significa importi più bassi in alcuni casi anche del 20-30%).

Tra le possibilità, poi, c’è l’estensione di Opzione donna, che potrebbe tornare com’era prima del taglio dell’ultima Manovra e Quota 96, riservata ai lavoratori gravosi. Una sorta di Ape sociale 2.0. La vera novità delle ultime ore è proprio questa. 

Come funzionerebbe Quota 96

Quota 96 permetterebbe l’uscita con 61 anni d’età e 35 di contributi solo per alcune categorie sociali. E tra queste ci dovrebbero essere quelle dei lavori impegnati in attività gravose e usuranti. Con questo nuovo strumento l’Ape sociale verrebbe comunque confermata. Se poi saltasse Quota 96 si potrebbe estendere proprio l’attuale Ape.

Lo strumento, poi, potrebbe anche aprirsi anche alle donne, se non ci fosse un intervento specifico su Opzione donna. Istituita dall’articolo 1, commi da 179 a 186, della legge di Bilancio 2017, l’Ape sociale prevede un’indennità a carico dello Stato erogata dall’Inps, entro dei limiti di spesa, a soggetti in determinate condizioni previste dalla legge che abbiano compiuto almeno 63 anni di età e che non siano già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero.

L’indennità è corrisposta, a domanda, fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia, ovvero fino al conseguimento della pensione anticipata o di un trattamento conseguito anticipatamente rispetto all’età per la vecchiaia. In vigore sperimentalmente dal 1° maggio 2017 la scadenza, in seguito a successivi interventi normativi è stata prorogata fino al 31 dicembre 2023.

Come può cambiare Opzione donna

Su Opzione donna per il 2024 si cerca un compromesso: il governo sta pensando a un requisito anagrafico a 60 anni di età, senza distinzioni legate al numero di figli o al lavoro. Verrebbe così eliminata la condizione che ne sta limitando di molto l’accesso, quella secondo cui a poter accedere a questo strumento nel 2023 sono solamente le caregiver (ossia chi si occupa di carichi di cura), le invalide civili (in misura pari o superiore al 74%) e coloro che sono state licenziate (o sono in procinto di esserlo). Al momento a essere escluse sono perlopiù le donne nate nel 1964 (e 1965 nel 2024), per le quali ci sarà bisogno di trovare una soluzione con la prossima legge di Bilancio.

Le altre Quote

Se da un punto di vista politico l’ipotesi “Quota 41″ (ovvero l’uscita con 41 anni di contribuzione indipendentemente dall’età) resta nel programma di maggioranza, e verrebbe certo incontro alle richieste dei sindacati, questa formula potrebbe risultare troppo costosa per il 2024. Anno per il quale la lista degli impegni finanziari è già lunga: si va dalla conferma del taglio del cuneo contributivo ai lavoratori a un primo intervento sulle aliquote Irpef, senza dimenticare che lo stesso comparto previdenziale assorbirà ulteriori risorse per il nuovo adeguamento degli assegni all’inflazione. Ecco quindi che la soluzione di default per il prossimo gennaio resta la conferma del meccanismo “Quota 103”.

Quando Quota 96 era attiva la somma doveva restituire questo risultato per il periodo che va dal 1° gennaio del 2011 al 31 dicembre 2012. Nel caso specifico la distinzione era la seguente: 60 anni come età anagrafica e 35 anni di contributi da versare.

Soltanto dal 2012 in poi, la Fornero ha deciso di bloccare tutto e di sostituire Quota 96 con l’odierna pensione anticipata, che ribadiamo come è possibile usufruirne: andare in pensione a qualsiasi età purché si raggiungano i 42 anni d’età e si versino 10 mesi di contributi per gli uomini, mentre 41 anni e 10 mesi per le donne.

Ultime notizie sulla riforma Pensioni 2024: confermata quota 103, introdotta APE ROSA

Quota 41 non verrà quindi introdotta, ma è possibile che venga presa in considerazione la possibilità di introdurre una versione “light” della Quota 41 per consentire il pensionamento anticipato. In questo scenario, la pensione verrebbe calcolata in maniera interamente contributiva, tenendo conto dell’intero periodo di contributi versati dal lavoratore. Tuttavia, con l’adozione di questa versione “light”, l’assegno pensionistico potrebbe subire un significativo taglio rispetto a quello che il lavoratore riceverebbe con i criteri di calcolo standard.

Infine sembrerebbe confermata l’eliminazione del programma Opzione Donna, che consentiva alle lavoratrici di andare in pensione in anticipo rispetto agli uomini. La versione del programma per il 2023 è stata criticata perché aveva limitato troppo il numero di beneficiari, e il governo non sembra intenzionato a fare marcia indietro, nonostante le richieste delle lavoratrici e dei sindacati.

L’Opzione Donna potrebbe esser sostituita da un nuovo programma denominato Ape Rosa. Questo programma prevede uno sconto contributivo per le donne che hanno figli (1 anno per figlio) e che hanno svolto lavori gravosi o si trovano in una situazione di bisogno. Resta invece viva l’Ape social per i lavori gravosi. 

PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Brevi cenni storici e normativi della previdenza complementare

Dagli anni Settanta, la pensione pubblica si basa su una convenzione intergenerazionale, cioè viene pagata dai contributi dei lavoratori attivi e le loro pensioni, a loro volta, verranno saldate dai contributi dei nuovi lavoratori. Il sistema sarebbe di per sé efficace ma l’aumentare dei pensionati e il diminuire della popolazione, quindi anche dei lavoratori attivi, hanno creato una lacuna importante allo Stato e il sistema pensionistico e il welfare pubblico sono stati rivisti, con lo scopo di contenere le spese.

Negli anni Novanta si sono ridotte le pensioni e come metodo utilizzato per il calcolo delle stesse si è passati a quello del sistema contributivo, il che vuol dire che la pensione è determinata solamente dai contributi versati nell’arco della propria vita lavorativa. Proprio per le previsioni poco rassicuranti per il futuro, in seguito a questo nuovo ricalcolo le istituzioni hanno dato vita a una serie di provvedimenti per sostenere le pensioni private e la previdenza complementare, chiamata a garantire le risorse sufficienti per mantenere un tenore di vita appropriato.

Il sistema contributivo, esteso nei confronti di tutti i lavoratori con la riforma del 2011, non potrà infatti garantire rendite previdenziali adeguate ed in linea con gli ultimi stipendi percepiti dagli assicurati. Con questo sistema pensionistico vengono presi in considerazione solo i contributi effettivamente versati dal lavoratore e dal datore di lavoro nel corso dell’intera vita lavorativa del soggetto. Il tasso di sostituzione tra reddito da lavoro e reddito da pensione è destinato, pertanto, a ridursi. 

Le forme di previdenza complementare hanno l’obiettivo di rispondere al progressivo ed inesorabile impoverimento della pensione pubblica frutto delle riforme degli ultimi decenni. 

La normativa che per la prima volta ha disciplinato in modo organico il sistema della previdenza complementare, risale al 1993 con il decreto legislativo n.124 del 93’.

In tale occasione, il legislatore ha consentito a questa tipologia di fondi pensione di continuare a operare in deroga alla disciplina generale.

Nel 2005 una legge successiva – il decreto legislativo n. 252/2005 (sostitutivo del decreto legislativo n. 124/1993) – ha fissato nuove regole per il sistema della previdenza complementare prevedendo anche un graduale adeguamento alla nuova disciplina per i Fondi pensione preesistenti da realizzarsi con un apposito decreto ministeriale (decreto ministeriale n. 62/2007). Infatti col decreto ministeriale 62/2007 si ha il Regolamento per l’adeguamento alle disposizioni del d.lgs. n. 252/2005, in materia di forme pensionistiche complementari.

La normativa vigente prevede tre tipologie di forme pensionistiche complementari a cui è possibile aderire a seconda della propria posizione lavorativa: i fondi pensione negoziali, detti anche chiusi, perché rivolti solo a specifici gruppi di lavoratori facenti parte di un determinato settore lavorativo, i fondi pensione aperti destinati, tipicamente, a tutti i lavoratori o gruppi di lavoratori privi di fondi pensione negoziali o trasferiti da fondi negoziali. I Piani Individuali Pensionistici di tipo assicurativo (PIP) consistono in polizze assicurative a carattere individuale con finalità previdenziali promosse da compagnie assicurative alle quali possono aderire sia i lavoratori dipendenti che gli autonomi.

CHE COSA RAPPRESENTA LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

La previdenza complementare è una forma di previdenza privata e volontaria che si aggiunge a quella obbligatoria, ma non la sostituisce.

Pertanto, la previdenza complementare è una forma di previdenza integrativa e volontaria che si aggiunge a quella obbligatoria. È fondata su un sistema di finanziamento a capitalizzazione che consiste nella creazione di un conto individuale presso un fondo pensione in cui affluiscono i versamenti dell’aderente, che vengono investiti sui mercati finanziari. Al momento del pensionamento la somma maturata viene liquidata sotto forma di rendita e/o di capitale.

La previdenza complementare rappresenta una integrazione facoltativa della previdenza obbligatoria.

Ci riferiamo, ai contributi INPS che danno diritto alla pensione al raggiungimento dei requisiti previsti dalla legge.

È importante sottolineare che la previdenza complementare non può in alcun modo sostituire quella obbligatoria, ma soltanto affiancarla, per questo si chiama anche integrativa.

In sostanza, si tratta di integrare la pensione futura, aggiungendo una rendita alla pensione INPS che spetta al termine del lavoro.

OBIETTIVI DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Tutte le forme di previdenza complementare hanno come obiettivo quello di integrare la pensione obbligatoria attraverso una pensione complementare, in modo da garantire alla popolazione un tenore di vita adeguato a conclusione della vita lavorativa.

La riforma del sistema pensionistico obbligatorio, prolungando la vita lavorativa, ha contrastato almeno in parte la riduzione della pensione pubblica. Nessuno può tuttavia sapere in anticipo quanto tempo sarà ancora in grado di lavorare e a quanto ammonterà, al momento del pensionamento, il totale dei contributi versati.

Risulta quindi opportuno iniziare quanto prima a costruire un secondo pilastro pensionistico dato che, nel corso della vita, anche il versamento di piccoli importi può portare a grandi rendite.

La previdenza complementare è volta alla costruzione di una posizione pensionistica integrativa rispetto a quella garantita dalle forme di previdenza obbligatorie.

 

VANTAGGI DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

La previdenza complementare garantisce risorse integrative per migliorare il tenore di vita una volta in pensione. Ma i vantaggi si vedono fin da subito: i soldi risparmiati si possono usare per affrontare emergenze durante la fase di contribuzione.

Non solo, la previdenza complementare ha anche un altro vantaggio: una tassazione molto agevolata rispetto ad ogni altra forma di risparmio o investimento. In fase di accumulo, ad esempio, le somme versate sono deducibili dall’imponibile IRPEF fino a 5.164 euro.

La pensione dei lavoratori più giovani verrà calcolata con il sistema contributivo, cioè in base ai contributi effettivamente versati durante l’intera vita lavorativa, anziché sulle ultime retribuzioni. Questo comporterà una riduzione del rapporto tra pensione e ultima retribuzione e, quindi, una pensione più bassa: per questo, è necessario costruirsi la previdenza complementare, cioè una rendita aggiuntiva a quella erogata dal sistema obbligatorio.

La previdenza complementare è conveniente anche per chi lavora da più tempo, perché potrà utilizzare la Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita), una nuova misura di flessibilità per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro.

I VANTAGGI IN SINTESI

  • iscriversi alla previdenza complementare dà la possibilità di integrare la pensione pubblica con la rendita che il fondo di previdenza erogherà al momento del pensionamento;
  • se il lavoratore aderisce alla previdenza complementare, l’azienda versa al fondo di previdenza, scelto dal lavoratore, un contributo stabilito dal contratto collettivo;
  • i contributi versati al fondo di previdenza, sia quello dal datore di lavoro che quello del lavoratore, sono deducibili dal reddito imponibile fiscale. E’ prevista una tassazione molto vantaggiosa anche per le prestazioni erogate (rendita, riscatto e anticipazioni);
  • i lavoratori del settore privato e pubblico – che sono ancora lontani dalla pensione e hanno cessato l’attività lavorativa – possono ottenere un reddito in attesa dell’età pensionabile, grazie alla Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita).

Tutti i lavoratori possono aderire in qualsiasi momento a un fondo di previdenza.  Nella costruzione del capitale, il numero degli anni di adesione al fondo incide notevolmente: molti studi confermano che, per ogni anno di rinvio dell’adesione, il lavoratore perde una parte consistente della rendita finale, di gran lunga superiore all’importo non versato.

IN CHE MODO IL LAVORATORE PUO’ SCEGLIERE LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

La scelta di una previdenza complementare integrativa da parte di un lavoratore dipende dalle opzioni disponibili nel proprio Paese o nel settore lavorativo di riferimento. Innanzitutto bisogna informarsi dettagliatamente sulle opzioni disponibili, effettuando ricerche accurate sulle diverse opzioni di previdenza complementare integrativa offerte e raccogliendo dati su fondi pensione aziendali, piani individuali pensionistici o altre forme di previdenza integrativa.

A questo punto è importante esaminare attentamente i benefici offerti da ogni opzione di previdenza complementare, che possono includere contributi aggiuntivi da parte dell’azienda o del datore di lavoro, opzioni di investimento, flessibilità nel prelievo dei fondi o altre caratteristiche che possono soddisfare le specifiche esigenze finanziarie e di pianificazione pensionistica. Oltre a considerare i benefici evidenziati dalla società di previdenza, però, vanno analizzati costi e rendimenti e la solidità finanziaria dell’ente gestore, puntando l’attenzione sugli aspetti di storicità e affidabilità di quest’ultimo.

I diversi piani possono poi differenziarsi per flessibilità e opzioni di personalizzazione, per esempio per ciò che riguarda la scelta delle modalità di contribuzione, dell’importo dei contributi o delle modalità di liquidazione delle prestazioni pensionistiche.

PERCHE’ CONVIENE ADERIRE ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE O INTEGRATIVA

La previdenza complementare può essere conveniente per tanti motivi, da valutare ovviamente a seconda delle esigenze e delle circostanze individuali.

Il primo e più evidente vantaggio della previdenza complementare è quello di poter integrare la pensione nel momento in cui si smetterà di lavorare, il che significa poter contare su risorse economiche aggiuntive che possano permettere di avere un tenore di vita soddisfacente anche una volta a riposo.

Proprio in previsione del rischio che il sistema previdenziale pubblico possa non fornire una pensione sufficiente per mantenere lo standard di vita desiderato durante la pensione, la previdenza complementare viene oggi considerata come la migliore soluzione per colmare questa lacuna, offrendo un reddito supplementare per garantire una maggiore sicurezza finanziaria nel periodo della pensione.

Per facilitare l’accesso alla previdenza complementare e renderla più conveniente, inoltre, sono stati previsti dei vantaggi fiscali, come detrazioni o deduzioni dalle imposte, sui contributi versati, il che può ridurre il carico fiscale attuale e aumentare l’efficacia degli investimenti pensionistici nel lungo termine.

La pensione complementare o integrativa infine risulta essere una valida scelta anche in termini di risparmio a lungo termine, poiché al di là dell’integrazione della pensione statale, essa può essere vista come un investimento utile per accumulare capitale nel tempo, fornendo una base finanziaria solida per il futuro.

ACCENNO AI FONDI PENSIONE VIGILATI DAL COVIP

La previdenza complementare si fonda su un sistema di finanziamenti e capitalizzazioni, che si aggiunge alla previdenza obbligatoria senza sostituirla. Ogni persona che si iscrive ha un proprio conto nel quale vengono convogliati i versamenti, che successivamente vengono impiegati nel mercato finanziario da coloro che sono specializzati in azioni, titoli di stato, quote di fondi comuni di investimento e titoli obbligazionari, e tali versamenti produrranno nel tempo dei rendimenti, variabili in base alle scelte di gestione e all’andamento dei mercati.

Nel momento in cui una persona va in pensione e si iscrive alla previdenza complementare, gli sarà liquidata una rendita in aggiunta alla pensione statale, formata dai risultati di gestione e dai contributi versati.

Per garantire trasparenza e correttezza, per le forme pensionistiche complementari, è stata creata una Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP). La prestazione maturata può essere percepita in capitale, in modo parziale o totale, solo in base a determinate condizioni o la si può percepire anche in mancanza di una pensione che deriva dalla previdenza pubblica.

La previdenza complementare è basata infatti su un sistema di capitalizzazione, nel quale i versamenti di ogni lavoratore vengono investiti in modo autonomo dal fondo di previdenza con lo scopo di dar vita a una rendita.

ACCENNO SULLE LINEE DI INVESTIMENTO E LE POSSIBILI SCELTE

Le forme pensionistiche complementari offrono diverse alternative per investire i propri contributi, chiamate linee di investimento (o comparti). Le linee di investimento si differenziano in base agli strumenti finanziari che vengono acquistati e in linea di massima sono riconducibili alle seguenti categorie: garantite, che offrono una garanzia di rendimento minimo o di restituzione del capitale versato al verificarsi di determinati eventi (ad esempio, al momento del pensionamento); In caso di adesione tacita, il TFR affluisce a una linea garantita. Successivamente è eventualmente possibile scegliere un’altra linea di investimento bilanciate, che in linea di massima investono in azioni e in obbligazioni nella stessa percentuale; azionarie, che investono solo o principalmente in azioni.

Nei fondi pensione negoziali, la gestione degli investimenti è affidata a operatori professionali (banca, SGR, SIM, impresa di assicurazione) sulla base di una convenzione nella quale sono definiti i criteri a cui tali operatori si devono attenere. Nei fondi pensione aperti e nei piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (PIP), gli investimenti sono gestiti in genere direttamente dalla società (banca, SGR, SIM, impresa di assicurazione) che ha istituito il fondo aperto o il PIP. Le risorse dei fondi pensione aperti e dei PIP costituiscono patrimonio autonomo e separato rispetto a quello della società. I fondi pensione preesistenti possono gestire le proprie risorse finanziarie direttamente oppure affidandole a operatori professionali.

AGEVOLAZIONI A FAVORE DEGLI ADERENTI ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE IN SINTESI

ANTICIPAZIONI E RISCATTI : Per tutti coloro che sono iscritti alla previdenza complementare da più di 8 anni è possibile chiedere un’anticipazione, per un importo non superiore al 75% del capitale accumulato, per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa di abitazione (per sé o per i propri figli), ovvero per un importo massimo del 30% del capitale accumulato, per ulteriori esigenze. Inoltre, per far fronte a spese sanitarie, conseguenti a gravissime condizioni (anche del  coniuge o  figli), è possibile richiedere in qualsiasi momento un’anticipazione della posizione individuale per un importo massimo del 75% del capitale accumulato. Le richieste di anticipazione possono essere reiterate, anche con riferimento alla medesima causale, fino al raggiungimento del limite massimo erogabile. Inoltre è possibile  riscattare tutta la proria posizione individuale nel caso di invalidità permanente o inoccupazione superiore ai 48 mesi, dimissioni o licenziamento. Si può  invece richiedere il riscatto di una parte della propria posizione, nella misura del 50%, se inoccupato da almeno 12 mesi (e non oltre 48) ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a mobilità, cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria.

RENDITA INTEGRATIVA TEMPORANEA ANTICIPATA (RITA):Prima che maturino i requisiti per la pensione obbligatoria, è possibile richiedere l’erogazione di una rendita integrativa temporanea anticipata (cosiddetta RITA), fino al conseguimento dell’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia, al verificarsi delle seguenti condizioni: cessazione dell’attività lavorativa; mancanza di  non più di 5 anni rispetto all’età per la pensione di vecchiaia; un requisito contributivo complessivo minimo di 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza; almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare. Oppure se ci si trova nelle seguenti condizioni: cessazione dell’attività lavorativa; inoccupazione da più di 24 mesi;  mancano non più di 10 anni rispetto all’età per la pensione di vecchiaia; il possesso di almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare. La RITA consiste nella possibilità di ricevere in modo frazionato tutto o parte (a seconda delle proprie esigenze) della posizione individuale fino al conseguimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia nel sistema pensionistico obbligatorio. La RITA ha carattere generale e si applica a tutti i lavoratori (inclusi i dipendenti pubblici) che abbiano aderito a una forma di previdenza complementare a contribuzione definita.