Pensione di vecchiaia
La pensione di vecchiaia è quella prestazione pensionistica erogata dall’Inps al compimento di una determinata età anagrafica unitamente al possesso, di regola, di almeno 20 anni di contributi.
Vediamo dunque di riassumere le condizioni attualmente vigenti per l’accesso alla pensione di vecchiaia rammentando che il DL 4/2019 (decreto sulla quota 100) non ha cambiato le regole per questa prestazione pensionistica.
Per le pensioni di vecchiaia occorrono 67 anni di età e almeno 20 di contributi. La pensione di vecchiaia 2022 può essere richiesta da tutti i lavoratori dipendenti del settore pubblico o privato e dai lavoratori autonomi con 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi
Il Decreto del Ministero dell’Economia del 27 ottobre 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 novembre scorso ha cristallizzato il requisito anagrafico fino al 2024, sterilizzando di fatto l’incremento biennale previsto dal Decreto-Legge 78 del 30 luglio 2010, sulla base dell’aumento dell’aspettativa di vita.
Occupazione | Uomini | Donne |
Dipendenti pubblici | 67 anni | 67 anni |
Dipendenti Privati | 67 anni | 67 anni |
Autonomi | 67 anni | 67 anni |
Non sono quindi previste differenze in merito al requisito anagrafico.
Si ricorda invece che fino al 2017 per le donne dipendenti di aziende private l’accesso alla pensione di vecchiaia era previsto a 65 anni e 7 mesi, mentre per le lavoratrici autonome a 66 anni e 1 mese, contro i 66 anni e 7 mesi previsti per la generalità dei lavoratori.
Dal 2018 è stata prevista l’equiparazione per tutte le categorie di lavoratori.
Per raggiungere i 20 anni di contributi è possibile cumulare gratuitamente i contributi versati, purché in periodi non coincidenti:
- in tutte le gestioni INPS o nelle Casse professionali;
- i contributi per lavoro in paesi dell’UE o in paesi extra UE legati all’Italia da una convenzione internazionale;
- i contributi derivanti dal riscatto di Laurea;
- i contributi figurativi per maternità, servizio militare o disoccupazione Naspi.
I lavoratori, i cui contributi versati siano posteriori al 31 dicembre 1995, devono comunque raggiungere un valore medio dell’assegno pari a 1,5 volte l’assegno sociale, fissato per il 2022 a 467,65 euro (circolare INPS 197 del 23 dicembre 2021)
Pensione di anzianità
Chi ha diritto alla pensione di anzianità (anche se soppressa dalla Riforma Monti-Fornero, introdotta dall’articolo 24, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201) continua a usufruirne o può richiederla ancora oggi secondo i limiti, i requisiti e le modalità previste dalla legge.
La pensione di anzianità può ancora essere richiesta se soddisfatti i requisiti alla data del 31 dicembre 2011.
A partire dal 1° gennaio 2011, per i lavoratori dipendenti e iscritti ai fondi pensione sostitutivi e integrativi, è necessario raggiungere quota 96 con almeno 60 anni di età (60 anni di età + 36 di contributi oppure 61 anni di età + 35 di contributi).
Per i lavoratori autonomi, invece, è necessario raggiungere quota 97 con almeno 61 anni di età (61 anni di età + 36 di contributi oppure 62 anni di età + 35 di contributi).
Alcune gestioni a carico delle quali è liquidato il trattamento pensionistico prevedono che il requisito minimo contributivo di 35 anni per il raggiungimento della quota debba essere perfezionato escludendo la contribuzione figurativa per disoccupazione e/o prestazioni equivalenti.
Si può accedere alla prestazione anche senza il requisito dell’età ma si deve possedere un’anzianità contributiva di almeno 40 anni. In tal caso, se è stato raggiunto il requisito minimo dei 35 anni di contribuzione effettiva, si utilizza anche la contribuzione figurativa per disoccupazione e malattia per arrivare a 40 anni. La decorrenza della pensione è fissata trascorsi 15 mesi per i lavoratori dipendenti e 21 mesi per gli autonomi dalla maturazione del requisito contributivo.
Il diritto alla prestazione può essere perfezionato anche con contribuzione estera maturata in paesi dell’Unione europea o in paesi extracomunitari convenzionati con l’Italia. In tal caso, l’accertamento del diritto a pensione può essere effettuato con la totalizzazione internazionale dei periodi assicurativi italiani ed esteri. L’importo della pensione, invece, viene calcolato in proporzione ai contributi accreditati nell’assicurazione italiana, secondo il criterio del pro-rata che si applica alle prestazioni in regime internazionale.
Pensione di reversibilità
La pensione ai superstiti è un trattamento pensionistico riconosciuto in caso di decesso del pensionato (pensione di reversibilità) o dell’assicurato (pensione indiretta) in favore dei familiari superstiti.
La pensione di reversibilità è pari ad una quota percentuale della pensione del dante causa .
La pensione indiretta è riconosciuta nel caso in cui l’assicurato abbia perfezionato 15 anni di anzianità assicurativa e contributiva ovvero 5 anni di anzianità assicurativa e contributiva di cui almeno 3 anni nel quinquennio precedente la data del decesso.
Hanno diritto al trattamento pensionistico in quanto superstiti:
- il coniuge o l’unito civilmente;
- il coniuge separato;
- il coniuge divorziato a condizione che sia titolare dell’assegno divorzile, che non sia passato a nuove nozze e che la data di inizio del rapporto assicurativo del defunto sia anteriore alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Nel caso in cui il dante causa abbia contratto nuovo matrimonio dopo il divorzio, le quote spettanti al coniuge superstite e al coniuge divorziato sono stabilite con sentenza dal Tribunale.
- I figli minorenni alla data del decesso del dante causa;
- I figli inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso, indipendentemente dall’età;
- I figli maggiorenni studenti, a carico del genitore al momento del decesso, che non prestino attività lavorativa, che frequentano scuole o corsi di formazione professionale equiparabili ai corsi scolastici, nei limiti del 21° anno di età;
- I figli maggiorenni studenti, a carico del genitore al momento del decesso, che non prestino attività lavorativa, che frequentano l’università, nei limiti della durata legale del corso di studi e non oltre il 26 anno di età.
Il superstite viene considerato a carico dell’assicurato o del pensionato deceduto al sussistere delle condizioni di non autosufficienza economica e di mantenimento abituale. Per l’accertamento della vivenza a carico assume particolare rilievo la convivenza del superstite con il defunto.
I figli studenti hanno diritto alla pensione ai superstiti anche se svolgono un’attività lavorativa dalla quale deriva un piccolo reddito. Si considera tale un reddito annuo non superiore ad un importo pari al trattamento minimo annuo di pensione previsto dal Fondo Pensioni lavoratori dipendenti maggiorato del 30%, riparametrato al periodo di svolgimento dell’attività lavorativa.
In assenza del coniuge e dei figli o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, i genitori dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo abbiano compiuto il 65° anno di età, non siano titolari di pensione e risultino a carico del lavoratore deceduto;
In assenza del coniuge, dei figli o del genitore o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, i fratelli celibi e sorelle nubili dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo siano inabili al lavoro, non siano titolari di pensione, siano a carico del lavoratore deceduto.
La pensione ai superstiti è pari ad una quota percentuale della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato deceduto. Gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario (coniuge, genitori fratelli e sorelle), nei limiti di cui alla tabella F, legge 8 agosto 1995, n. 335.