La Perequazione è l’aumento collegato all’inflazione che viene riconosciuto ai trattamenti pensionistici secondo determinate condizioni.
Con il termine perequazione automatica si indica la rivalutazione dell’importo pensionistico, legata all’inflazione, finalizzata alla protezione del potere d’acquisto e riguarda sia le pensioni dirette (come la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata) sia le pensioni indirette (pensione ai superstiti).
La perequazione è il termine che identifica la rivalutazione dell’importo pensionistico legato all’inflazione. In pratica si tratta di un meccanismo attraverso il quale l’importo delle prestazioni medesime viene adeguato all’aumento del costo della vita come indicati dall’Istat.
Il fine che la legge intende perseguire è quello di proteggere il potere d’acquisto del trattamento previdenziale pensionistico qualsiasi esso sia.
Allo scopo di proteggere il potere d’acquisto dei pensionati e garantire loro un tenore di vita adeguato e costante nel tempo, il nostro sistema pensionistico prevede il meccanismo della cosiddetta “perequazione automatica”, un aumento periodico dell’assegno collegato all’inflazione.
Le pensioni vengono così adeguate all’aumento del costo della vita al fine di salvaguardare, in qualche misura, il loro reale potere d’acquisto.
Tuttavia, l’ indicizzazione non si applica allo stesso modo a tutti i trattamenti pensionistici.
La novità prevista dalla legge di bilancio per il 2022 era che, a partire dal 2023, sarebbero tornate in vigore le regole ordinarie con cui calcolare la perequazione, quelle fissate dalla legge 388/2000. Secondo tale norma, scattano aumenti diversi per tre scaglioni d’importo: 100% sino a 4 volte il minimo, 90% tra 4 e 5 volte e 75% se superiore a 5 volte.
Novità sulle pensioni con la legge di bilancio 2023
Con la manovra del 2023 è stata prevista l’ introduzione, per il biennio 2023 – 2024 di sei fasce di rivalutazione a seconda dell’importo del trattamento pensionistico. Inoltre, viene ripristinato il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento e non più a scaglioni, un sistema più penalizzante per le pensioni più elevate ( in questo sistema di calcolo il reddito viene suddiviso in più scaglioni, ad ognuno dei quali si applica un’aliquota via via crescente ).
Con la perequazione automatica le pensioni aumentano con incrementi differenziati a secondo dell’ entità della pensione. Il Governo Draghi aveva deciso per il 2023 il ritorno ad uno schema con una rivalutazione suddivisa in tre fasce :
- al 100% dell’inflazione per le pensioni di importo fino a 4 volte il trattamento minimo INPS;
- al 90% dell’inflazione per le pensioni di importo compreso tra 4 e 5 volte il minimo;
- al 75% dell’inflazione per i trattamenti pensionistici oltre 5 volte il minimo.
Con la Legge di bilancio 2023 è stato stabilito un nuovo meccanismo per il biennio 2023 – 2024 che premia le pensioni al minimo, preserva la rivalutazione piena per gli assegni di importo fino a 4 volte il minimo e riduce progressivamente l’indicizzazione di tutti i trattamenti oltre 4 volte il minimo con uno schema che prevede un’articolazione in sei fasce per il biennio 2023 – 2024:
- Per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (2.101,52 euro), le pensioni saranno rivalutate nella misura del 100 per cento (pieno 7,3%);
Per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (2.101,52 euro):
- le pensioni saranno adeguate nella misura dell’85 per cento (6,21%) per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS (2.626,90 euro).
- per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo la rivalutazione sarà del 53 per cento (3,87%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS (2.626,90 euro) e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS (3.152,28 euro) ;
- Per le pensioni di importo superiore a sei volte il trattamento minimo (3.152,28 euro) la rivalutazione sarà nella misura del 47 per cento (3,43%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS (4.203,04 euro circa);
- Per i trattamenti pensionistici di importo superiore a otto volte il trattamento minimo (4.203,04 euro) la rivalutazione sarà pari al 37 per cento (2,70%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a dieci volte il trattamento minimo INPS (5.253,80 euro);
- Per le pensioni di importo superiore a dieci volte il predetto trattamento minimo, l’incremento avverrà nella misura del 32 per cento (2,34%) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a dieci volte il trattamento minimo INPS (superiore a 5.253,80 euro).
Complessivamente le fasce risultano più restrittive a partire dai redditi medio alti . Le nuove fasce sono più restrittive con chi riceve assegni superiori a quattro volte il minimo: una pensione di 3mila euro lordi al mese al 31 dicembre 2022 sarà rivalutata in modo secco del 3,869%, cioè 116 euro al mese. Con le vecchie regole, invece, l’aumento sarebbe stato di 208 euro al mese. Allo stesso modo, una pensione di 6mila euro lordi, riceverà 140 euro di aumento contro i 373euro che avrebbe ottenuto in precedenza.
Al contrario, chi riceve una pensione non superiore al trattamento minimo (cioè 525,38 euro) riceve una rivalutazione straordinaria dell’1,5% che porterà l’assegno minimo a circa 572 euro al mese (in totale recupererà un’inflazione dell’8,8%).
Adeguamento pensionistico e la sua evoluzione negli anni
L’adeguamento pensionistico deve essere effettuato su tutti i trattamenti pensionistici erogati dalla previdenza pubblica (cioè dall’assicurazione generale obbligatoria e dalle relative gestioni dei lavoratori autonomi nonchè dai fondi ad essa sostitutivi, esonerativi, esclusivi, integrativi ed aggiuntivi): quindi rientrano sia le pensioni dirette (es. pensione di vecchiaia, pensione anticipata) sia quelle indirette (pensione ai superstiti) a prescindere dalla circostanza che tali prestazioni siano o meno integrate al trattamento minimo.
circa le modalità con le quali si effettua l’adeguamento dal 1° gennaio 1999 l’articolo 34, comma 1 della legge 448/1998 ha previsto che la perequazione si effettua in via cumulata. Cioè ai fini dell’individuazione dell’indice di perequazione da attribuire si prende a riferimento il reddito complessivo derivante dal cumulo dei trattamenti erogati dall’Inps nel Casellario Centrale dei Pensionati, per ciascun pensionato.
Sino al 31 Dicembre 2011. Prima della Riforma Fornero la legge n. 388/2000 aveva suddiviso – a partire dal 1° gennaio 2001 – la perequazione in tre fasce all’interno del trattamento pensionistico complessivo e l’adeguamento veniva concesso in misura piena, cioè al 100% per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90% per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo. Prima del 2001 la materia era regolata dall’articolo 24, della legge 41/1986 che garantiva un adeguamento pieno sino a 2 volte il minimo, al 90% tra le 2 e le 3 volte il minimo e del 75% per le fasce eccedenti il triplo del minimo. La rivalutazione avveniva per scaglioni di importo, cioè seguendo criteri progressivi.
Dal 1° gennaio 2012. Il dl n. 201/2011, come noto, ha introdotto un blocco temporaneo nel biennio 2012-2013 dell’indicizzazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il Tm (cioè 1.405,11€ nel 2011), rivisto poi parzialmente dal dl n. 65/2015 per rispondere ai rilievi della sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale. In tal sede è stata prevista una rivalutazione parziale anche degli assegni inferiori a sei volte il Tm confermando il blocco totale di quelli superiori a tale soglia. La stessa Corte (sentenza n. 250/2017) ha riconosciuto legittimo il Dl n. 65/2015 poiché «ha introdotto una nuova non irragionevole modulazione del meccanismo che sorregge la perequazione, la cui portata è stata ridefinita compatibilmente con le risorse disponibili».
Dal 1° gennaio 2014 la legge n. 147/2013 ha introdotto un nuovo strumento perequativo che, abbandonando i criteri di progressività, ha optato per una rivalutazione unica applicata direttamente sull’importo complessivo del trattamento pensionistico. Il meccanismo, inoltre, ha previsto indici di perequazione meno favorevoli per i trattamenti superiori a tre volte il Tm. Tali regole sono rimaste in vigore con limitate modifiche sino al 31 dicembre 2021. Il basso tasso di inflazione registrato in quegli anni ha comunque contenuto gli effetti per i pensionati con assegni superiori a tre volte il TM.
Nel 2022 è tornata la rivalutazione per scaglioni d’importo (cioè progressiva) ma il nuovo corso ha avuto vita breve. La legge n. 197/2022 ha, infatti, ripristinato per il biennio 2023-2024 la rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento. Attualmente il modulo di perequazione (art. 1, co. 235 della legge n. 197/2022) è il seguente:
- 100% per i trattamenti pensionistici sino a quattro volteil Tm;
- 85% per i trattamenti pensionistici compresi tra quattro e cinque volteil Tm;
- 53% per i trattamenti pensionistici compresi tra cinque e sei volteil Tm;
- 47% per i trattamenti compresi tra sei e otto volteil Tm;
- 37% per i trattatamenti compresi tra otto e dieci volteil Tm;
- 32% per i trattamenti superiori a dieci volteil Tm
Da notare che per gli assegni non superiori al trattamento minimo la legge n. 197/2022 ha previsto una rivalutazione straordinaria dell’1,5% (6,4% per i pensionati con età pari o superiore a 75 anni) nell’anno 2023 e del 2,7% nell’anno 2024. Gli effetti però sono transitori, cesseranno di trovare efficacia rispettivamente il 31 dicembre 2023 ed il 31 dicembre 2024.

Come si nota in passato più volte i trattamenti pensionistici elevati sono stati oggetto di una riduzione delle aliquote di indicizzazione. Basti pensare che già nel 1998 l’articolo 11, comma 13 dell’articolo 59 della legge n. 449/1997 aveva disposto il congelamento della perequazione sui trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo inps e che, per il biennio successivo, l’indice di perequazione doveva essere applicato nella misura del 30% per le fasce di importo tra le cinque e le otto volte; superato tale limite la perequazione non doveva trovare più applicazione. Analogo blocco fu introdotto per l’anno 2008 della legge n. 247/07 sulle pensioni superiori a 8 volte il minimo inps. Per il triennio 2008-2010 l’aumento perequativo è stato però garantito in misura piena per le pensioni non superiori a 5 volte il minimo (articolo 5, comma 6 del decreto legge n. 81/2007).
Per la rivalutazione del 2023, il decreto ha fissato l’aumento al tasso del 7,3% che porta il minimo Inps, ad esempio, da 525,38 euro a 563,73 euro con un aumento di 38,35 euro mensili ovvero di 498 euro in un anno (tredici mensilità). La perequazione interessa tutte le pensioni, di qualunque importo. L’aumento è fisso per le pensioni d’importo fino al «minimo Inps» (cioè in misura del 100% del tasso Istat); quelle d’importo superiore, invece, aumentano con incrementi differenziati a seconda dell’entità della pensione soggetta alla rivalutazione o di tutte le pensioni soggette a rivalutazione, se il pensionato ne possiede più di una.
Nel 2023 si doveva continuare con le regole originarie di calcolo della perequazione fissate dalla legge n. 388/2000: cioè aumenti su tre fasce di importo (100% sino a 4 volte il minimo, 90% tra 4 e 5 volte e 75% se superiore a 5 volte) con criteri progressivi.
La rivalutazione effettiva
Sulle fasce di rivalutazione esposte in tabella bisogna applicare il tasso di inflazione annua. Dalla moltiplicazione del tasso di inflazione per le fasce di rivalutazione si ottiene, pertanto, il tasso effettivo di rivalutazione che ogni anno viene corrisposto negli assegni. L’applicazione della rivalutazione, come noto, avviene ad inizio di ogni anno in via provvisoria rispetto all’inflazione dell’anno uscente ed in via definitiva rispetto a quella dell’anno precedente sulla base dei valori indicati in un decreto del ministero dell’economia adottato a metà novembre.
Il decreto ministeriale 10 novembre 2022 ha fissato il tasso di inflazione definitivo per il 2022 in misura pari allo 1,9% (rispetto all’1,7% comunicato in via previsionale l’anno precedente) ed ha fissato quello provvisorio 2023, relativo ai primi 9 mesi del 2022, in misura pari al 7,3%. A regime, pertanto, gli aumenti nel 2023 sono dettagliati di seguito:
La legge di bilancio rivede il meccanismo di indicizzazione delle pensioni superiori a 4 volte il trattamento minimo. Rivalutazione straordinaria del 6,4% per i pensionati al minimo di età pari o superiore a 75 anni.
Per i prossimi due anni (2023 e 2024) gli assegni torneranno ad essere rivalutati con criteri meno generosi. In particolare la rivalutazione non si applicherà in modo progressivo (come visto nel 2022) ma sull’intero trattamento pensionistico lordo e con fasce di perequazione diverse. Lo prevede il testo della legge di bilancio 2023 che si accinge ad essere approvata in via definitiva dal Parlamento nei prossimi giorni. All’interno c’è anche un irrobustimento delle pensioni minime per i pensionanti di età pari o superiore a 75 anni: nel 2023 godranno di rivalutazione straordinaria (ma temporanea) del 6,4% che porterà il minimo a 600€ al mese.
La «perequazione automatica»
Si chiama così il vecchio automatismo della scala mobile, in virtù del quale le pensioni sono adeguate all’aumento del costo della vita al fine di salvaguardare, in qualche misura, il loro reale potere d’acquisto. L’automatismo (la perequazione) è applicato una volta sola nell’anno e prevede, prima di tutto, la fissazione del “tasso” sulla base del quale rivalutare le pensioni. Il tasso viene ufficializzato mediante uno specifico decreto ministeriale che lo determina quale valore medio dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (tassi inflazione) calcolato sull’anno precedente quello della rivalutazione.
Le nuove regole
La Finanziaria 2023 modifica i suddetti criteri prevedendo per il biennio 2023-2024 sette fasce di rivalutazione a seconda dell’importo del trattamento pensionistico (in tabella gli aumenti) e, soprattutto, ripristinando il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento. Resta fermo il meccanismo di garanzia in base al quale la rivalutazione non può essere inferiore all’aumento massimo attriuibile della fascia inferiore.

Le nuove fasce, in definitiva, sono complessivamente meno generose per chi percepisce assegni superiori a quattro volte il minimo. Ad esempio una pensione di 3.000€ lordi al mese al 31 dicembre 2022 sarà rivalutata in modo secco del 3,869%, cioè 116€ al mese. Con le vecchie regole l’aumento sarebbe stato di ben 208€ al mese. Una pensione di 6.000€ lordi al mese dal 31 dicembre 2022 prenderà 140€ di aumento contro i 373€ che avrebbe ottenuto con la disciplina precedente.
Pensionati al minimo
Chi percepisce una pensione non superiore al trattamento minimo (cioè 525,38€) godrà di una rivalutazione straordinaria dell’1,5% che porterà l’assegno minimo a circa 572€ al mese (per tutto il 2023, compresa la tredicesima). Per i pensionati di età non inferiore a 75 anni l’aumento sarà del 6,4% grazie al quale, come annunciato dal Governo, si può raggiungere la teorica cifra di 600€ al mese. Si ricorda che si tratta di aumenti transitori, destinati cioè a trovare applicazione per il solo 2023, senza incidere sulle prestazioni collegate al reddito.
Contrasto all’inflazione
Come noto nel tentativo di attenuare gli effetti dell’inflazione il dl n. 115/2022 reca due misure a favore dei pensionati:
- Un anticipo della rivalutazione delle pensioni in misura pari al 2% a partire dal 1° ottobre 2022 se il trattamento complessivo non supera i 692€ lordi al mese(ai valori di settembre 2022);
- L’anticipo del conguaglio dello 0,2% al 1° novembre 2022(anziché dal 1° gennaio 2023) perché l’inflazione definitiva nel 2021 è risultata pari a + 1,9% anziché dello 1,7% provvisoriamente applicato dall’Inps per il 2022.