Cosa si intende per assistenza domiciliare
L’assistenza domiciliare consiste, come suggerisce il termine stesso, nella possibilità di ricevere cure mediche e supporto farmacologico direttamente presso la casa dell’assistito
Fornire assistenza domiciliare significa garantire al paziente di continuare a vivere tra i propri ricordi e affetti, senza essere privato di un servizio di cure necessarie per la sua condizione di salute.
L’assistenza domiciliare è un diritto del cittadino, garantito dalla legge, infatti da quando è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale come lo conosciamo oggi – con la Legge 23 dicembre 1978, n. 833 – il nostro Paese, attraverso l’azione del Ministero della Salute, ha cercato sempre di garantire al cittadino il diritto alle cure mediche, sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana con l’articolo 32, che recita così:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” Successivamente l’articolo 22 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, definisce e aggiorna i livelli essenziali di assistenza; in effetti vengono indicati i percorsi assistenziali a domicilio, (costituiti dall’insieme organizzato di trattamenti medici, riabilitativi, infermieristici) necessari per stabilizzare il quadro clinico, limitare il declino funzionale e migliorare la qualità della vita del paziente.
In altre parole, l’assistenza domiciliare è un servizio previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) con l’obiettivo di dare risposta ai bisogni di salute delle persone fragili in generale, quindi degli individui non autosufficienti, anziani, disabili e minori che necessitano di cure a domicilio in modo temporaneo o protratto nel tempo, ai fini della gestione della cronicità, della prevenzione della disabilità e del miglioramento della qualità di vita.
Questo è molto importante, infatti potersi curare nella propria casa, circondati dalle persone care, e conservando, per quanto possibile, le proprie abitudini, è un bene per chiunque, che aiuta ad affrontare il tutto in modo più rilassato.
Se questo principio lo applichiamo a persone che vivono un effettivo disagio che rende difficile, sconsigliato o addirittura impossibile recarsi presso strutture sanitarie locali, possiamo comprendere a pieno l’importanza di un istituto come l’assistenza domiciliare.
Infine, e non è da sottovalutare, l’assistenza infermieristica a domicilio che non si limita solo alla cura del paziente, ma effettua anche un piccolo training a chi lo assiste, che sia un parente oppure una persona assunta come badante, ovvero quello che in gergo viene definito “caregiver”.
Le tipologie di assistenza domiciliare
Possono essere erogate varie tipologie di assistenza domiciliare, che si differenziano in base ai bisogni del paziente ed al livello, intensità, complessità e durata dell’intervento assistenziale. In tal senso possiamo distinguere due livelli di cure:
- Assistenza Domiciliare Programmata (ADP)
- Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)
Assistenza Domiciliare Programmata (ADP)
L’Assistenza Domiciliare Programmata è il livello assistenziale di base, che consiste nell’erogazione di prestazioni mediche, infermieristiche e/o riabilitative limitate al periodo della malattia in corso, con l’obiettivo di valutare i bisogni del paziente e individuare la corretta terapia. È rivolta a tutte quelle persone che non sono in grado di raggiungere il luogo in cui usufruire dei servizi necessari per la loro salute, perché non deambulanti o con gravi limitazioni funzionali che non ne permettono il trasporto con i mezzi comuni. L’esempio più tradizionale di questo tipo di assistenza è la visita a domicilio del medico di base, effettuata nei confronti dei pazienti che non deambulano, quando c’è un’effettiva impossibilità di raggiungere lo studio medico. Questa tipologia di assistenza è limitata nel tempo, ma è rinnovabile, qualora le condizioni di salute del paziente lo richiedano.
Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)
Le cure domiciliari integrate sono costituite da prestazioni professionali di vario tipo, da quelle mediche e infermieristiche fino a quelle di tipo riabilitativo e assistenziale, in un insieme integrato di trattamenti multidisciplinari. Sono dedicate a persone che necessitano di una continuità assistenziale e di interventi programmati ripetuti nel tempo, a causa delle loro gravi condizioni di salute. Il DPCM del 12 gennaio 2017 individua tre livelli di cure domiciliari integrate, determinati sulla base del grado crescente di intensità dell’intervento assistenziale:
- Cure domiciliari integrate di primo e secondo livello. Si rivolgono a persone che non presentano criticità specifiche o sintomi particolarmente invalidanti, ma hanno comunque bisogno di continuità assistenziale con interventi che si articolano su 5 giorni (primo livello) o su 6 giorni (secondo livello) su sette. Ad esempio, è il caso di chi soffre di malattie croniche non invalidanti come il diabete o la cirrosi epatica.
- Cure domiciliari integrate di terzo livello. Sono tutte le prestazioni professionali rivolte a pazienti con patologie ad elevato livello di complessità, instabilità clinica e sintomi di difficile controllo, e che quindi richiedono una continuità assistenziale ed interventi programmati sette giorni su sette, anche per la necessità di fornire supporto alla famiglia e ai caregivers. Rientrano in questa casistica tutti i pazienti affetti da malattie terminali o malattie neurologiche degenerative in fase avanzata.
Il Servizio Sanitario Nazionale, in seguito alla ratificazione degli accordi collettivi nazionali della medicina generale e della pediatria di libera scelta, siglati nel 2005 e nel 2009, ha previsto anche altre forme di assistenza domiciliare, oltre a quella programmata e quella integrata.
- assistenza domiciliare programmata nei confronti dei pazienti non ambulabili (ADP);
- assistenza domiciliare nei confronti di pazienti ospiti in residenze protette e collettività (ADR);
- assistenza domiciliare integrata cure palliative (ADICP);
- assistenza domiciliare per persone con demenza (ADPD).
Iter burocratico
L’assistenza domiciliare è offerta a persone che soffrono di malattie invalidanti acute o croniche, a portatori di handicap fisici e psichici, anziani non autosufficienti, oltre che a malati terminali.
Per richiederla, bisogna rivolgersi alla propria ASL di competenza ed effettuare una segnalazione, presentando il caso del paziente bisognoso di cure domiciliari. La segnalazione può provenire dal medico di base, dall’ospedale in seguito ad un ricovero, da un familiare o dalla persona che assiste il paziente, oltre che dai servizi sociali.
L’ufficio competente dovrà accertarsi delle condizioni del paziente, attraverso una procedura che si chiama “Valutazione multidimensionale del bisogno”.
In parole semplici, l’ASL dovrà verificare lo stato del paziente per il quale si richiede l’assistenza, attraverso l’analisi delle cartelle cliniche, lo studio dei referti medici, visita domiciliare o in ospedale.
Se viene individuata l’effettiva necessità di fornire l’assistenza domiciliare al paziente, allora si procede con la “Presa in carico e definizione del piano assistenziale”.
L’ASL, quindi, sulla base delle esigenze mediche della persona bisognosa di assistenza, svilupperà un piano all’interno del quale sono indicati i trattamenti a cui sottoporlo, la tipologia di intervento medico, infermieristico o riabilitativo.
Al termine del percorso terapeutico, si procederà con le dimissioni del paziente e l’interruzione dell’assistenza domiciliare.
Come indicato sul sito del Ministero della Salute, le prestazioni sanitarie erogate tramite assistenza domiciliare sono interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, fatta eccezione per alcuni servizi.
I costi da sostenere per gli interventi infermieristici e di assistenza tutelare sono equamente divisi tra il S.S.N. (Servizio Sanitario Nazionale) e il Comune di residenza, oppure il paziente stesso.
Bisogna verificare la tipologia di copertura offerta dal proprio Comune di residenza, per avere un quadro preciso dei costi da sostenere per ricevere le cure a domicilio.
La domanda può essere presentata attraverso i seguenti canali:
- servizio online dedicato (portale welfare) tramite le proprie credenziali;
- contact center tramite le proprie credenziali;
- patronati, mostrando gli estremi del verbale che certifica lo stato di invalidità
Il termine per la lavorazione della domanda è fissato a 30 giorni.
Altre forme di assistenza domiciliare: Ospedalizzazione domiciliare
Oltre all’assistenza domiciliare, nelle forme che abbiamo illustrato fino ad ora, il Servizio Sanitario Nazionale, offre anche il servizio di ospedalizzazione domiciliare.
In caso di patologie o condizioni cliniche particolarmente complesse, che necessitano di assistenza medica e infermieristica 24h su 24h, allora la struttura ospedaliera può richiedere e predisporre l’ospedalizzazione domiciliare, con il proprio personale.
Oltre alle visite mediche e agli interventi infermieristici e assistenziali, l’ospedalizzazione domiciliare prevede anche la fornitura di dispositivi e attrezzature, come ad esempio gli erogatori di ossigeno, oppure ausili per la deambulazione.
L’ospedalizzazione dura in media 60 giorni, durante i quali il medico generale e i medici ospedalieri si alternano per le visite e i controlli quotidiani, coadiuvati da infermieri professionisti. Al termine del periodo di ospedalizzazione, è possibile attivare una assistenza domiciliare integrata per il paziente, fino alle dimissioni.
Anziani e Covid - 19
La categoria più a rischio di contagio da Coronavirus è certamente quella degli anziani poiché a causa dell’età e delle patologie concomitanti rappresenta la fascia di popolazione più in pericolo di sviluppare sintomi gravi dovuti all’infezione da Coronavirus. La malattia da Coronavirus si trasmette attraverso goccioline emesse dalla bocca o dal naso di una persona infetta. Il contagio può avvenire
- in maniera diretta, cioè trovandosi a distanza ravvicinata con un individuo infetto,
- in maniera indiretta, attraverso superfici ed oggetti contaminati.
L’infezione da Coronavirus può provocare dei sintomi respiratori molto gravi, soprattutto nei soggetti affetti da un’altra malattia respiratoria come ad esempio la BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) o la bronchite cronica, ma anche in caso di soggetti affetti da patologie croniche concomitanti non di tipo respiratorio, come ad esempio il diabete mellito e le cardiopatie.
Gli anziani sono più a rischio di sviluppare un’infezione da Coronavirus grave, oltre che per la presenza di patologie concomitanti anche a causa di un sistema immunitario spesso compromesso. Alla luce di quanto sopra descritto sono stati messi ancora più in risalto alcuni limiti presenti nel nostro sistema dei servizi ed interventi sociali agli anziani. Al di là delle difficoltà strutturali legate alla scarsità di risorse impegnate in termini di assistenza, alle difficoltà di numerose realtà territoriali nel garantire livelli di sevizio adeguati ed efficienti, alcune delle criticità riguardano i modelli di concezione dei bisogni della popolazione anziana. In effetti, la diffusione del Covid ha fatto crollare alcune delle certezze: in parte perché le strutture per anziani sono state sottoposte a livelli di rischio significativamente elevati, ma anche perché sono emersi nuovi bisogni sociali della vita anziana (ad esempio la necessità di socializzazione in condizioni di isolamento sociale, anche a fronte delle ricadute psicologiche legate alle norme di distanziamento, i bisogni legati alla mobilità indipendente), che escono dalla classica distinzione legata al concetto di autosufficienza. E’ certo che prima dell’emergenza alcuni bisogni “leggeri” erano soddisfatti dalla rete familiare e/o amicale. La lontananza dai figli, che durante la pandemia è stata una “lontananza obbligata” spesso ha rappresentato motivo di affaticamento della vita anziana, al pari, ad esempio, di alcune situazioni legate a condizioni di malattia che limitano l’autonomia dei soggetti. Questi nuovi bisogni sono correlati, non solo alle condizioni di salute dell’anziano, quanto anche alla sua rete sociale e relazionale, che durante la pandemia si è forzosamente rarefatta.
Esiste quindi una condizione dell’anziano che è quella fragile, intermedia tra l’autosufficienza piena e la non autosufficienza, che durante il periodo Covid si è particolarmente evidenziata. Si tratta di una zona grigia non predeterminabile a priori o attraverso un’analisi di natura medica e le cui caratteristiche differiscono in maniera significativa da soggetto a soggetto. Proprio questa diversa fragilità individuale richiede un sistema di osservazione dei bisogni maggiormente orientato al cambiamento graduale e più capace di rispondere al singolo problema più che ad una certa categoria sociale. Lo abbiamo ben compreso durante il lockdown: in un momento storico in cui l’isolamento sociale e il distanziamento hanno rappresentato buone norme di comportamento finalizzate alla riduzione del contagio, la solitudine delle persone anziane può aver rappresentato un rischio significativo da non sottovalutare.
Tale condizione va tenuta di conto soprattutto oggi che le norme che definiscono il distanziamento e la ridotta mobilità sono nuovamente diffuse, seppur a gradi diversi, sull’intero territorio italiano. C’è da chiedersi infatti cosa succede ad un anziano solo in caso di bisogno non sanitario? Se non sono presenti i figli, chi può sostenere le normali pratiche quotidiane, quali l’approvvigionamento alimentare, il pagamento delle bollette, la corretta vigilanza sulla manutenzione della casa, l’acquisto dei farmaci e il suo corretto/regolare utilizzo?
In tal senso, occorre immaginare che, oltre ad interventi più o meno strutturati, è necessario costruire interventi di prossimità che, da un lato, permettano all’anziano di non cadere in un vortice di abbandono e di scoraggiamento, e dall’altro sostengano realmente il carico di cura dei figli, altrimenti assoggettati al rischio di schiacciamento tra la cura dei figli e quella dei genitori .Si tratta di interventi leggeri, flessibili, a volte saltuari e di breve durata, erogati dal privato sociale e dal volontariato, molto spesso complementari ed integrativi a quelli organizzati dalla rete “standard” dei servizi.
Ad esempio in alcuni comuni d’Italia è stata attivata, tramite le organizzazioni di terzo settore presenti su specifici territori, il servizio di consegna dei farmaci e/o degli alimenti a domicilio: tali servizi, ampiamente presenti in alcune aree metropolitane erano quasi (o del tutto) assenti nei contesti periferici o nei piccoli Comuni (soprattutto del Mezzogiorno). Il potenziamento di reti “sociali di prossimità” ha permesso non solo di affrontare questa specifica situazione legata al contenimento della diffusione del Covid-19 (evitando che siano gli anziani a dover provvedere autonomamente a farmaci ed alimenti), ma ha anche consentito di rappresentare una cerniera tra le persone e i servizi sociali. In tal modo eventuali situazioni di particolare difficoltà possono essere preventivamente conosciute e monitorate soprattutto con riferimento agli anziani soli e/o con i figli “distanti”.
Si registrano quindi eventi di categoria (quali la vedovanza, il cambio di città dei figli, la riduzione delle proprie risorse economiche, il cambio di residenza) ed eventi che interessano tutti, quali la pandemia, che sommati ad uno o più dei precedenti, gravano significativamente sulla vita degli anziani e rappresentano motivo forte di fragilità.
Interventi mirati al sostegno della vita di queste persone, permettono di ridurre il numero di coloro che possono scivolare verso una condizione di bisogno più significativa e quindi richiedere poi interventi maggiormente strutturati. Non si tratta soltanto di una riduzione del rischio legato ai costi, quanto piuttosto di introdurre interventi locali che possano garantire il più possibile un’autonomia piena dell’anziano, anche a partire dal mantenimento di vita nel proprio domicilio abituale.
In particolare, nelle aree in cui il numero dei servizi, il loro livello qualitativo e di efficacia, incontrano numerose difficoltà, le situazioni meno standardizzate, come la fragilità degli anziani, rappresentano nuovi problemi sociali di ampia portata, talvolta difficilmente compresi dai sistemi di osservazione del welfare locale. Dall’attenzione scientifica verso le diverse condizioni che caratterizzano la condizione anziana, alle possibilità di azione che tale riconoscimento assume a livello locale e di servizi, risulta evidente la necessità di mettere a sistema una rimodulazione dei bisogni. I bisogni si presentano infatti come dati non solo binari (dall’autonomia alla dipendenza) ma dialettici (autonomia – vulnerabilità/fragilità – dipendenza); tale riconfigurazione e rilettura dei bisogni della popolazione anziana consente di garantire un maggiore livello di benessere agli anziani stessi (nonché per le reti familiari), senza appesantire inutilmente i servizi di cura e di assistenza dedicati a situazioni di maggiore gravità e rischio.
Un cambio di passo nell’osservazione delle varie condizioni della vita anziana, può permettere di costruire interventi di welfare che abbiano la caratteristica dell’elasticità e dell’immediatezza da affiancare a quelli tradizionali: in definitiva si tratta di costruire interventi complementari al welfare tradizionale, in grado di contribuire a garantire il godimento di una vita buona a tutte le età.